Lettera del jihadista a Obama: "Ecco perché attaccammo le Torri Gemelle"

La mente degli attentati dell'11 settembre scrive a Obama: "Hai le mani sporche di sangue. La nostra fu una vendetta per i nostri morti"

Lettera del jihadista a Obama: "Ecco perché attaccammo le Torri Gemelle"

"In nome di Allah il misericordioso". Inizia così la lettera che Khalid Sheik Mohammed, il pakistano ritenuto la mente degli attacchi dell’11 settembre, ha inviato a Barack Obama per spiegargli i motivi che hanno spinto i terroristi a colpire le Torri Gemelle. Una lettera datata gennaio 2015, ma recapitata alla Casa Bianca, per ordine di un tribunale miliare, solo nei giorni in cui Obama si apprestava a fare le valige.

Dall'intestazione si comprende immediatamente il tono della missiva, inviata a "testa del serpente, Barack Obama, il presidente degli Stati Uniti, il Paese dell’oppressione e della tirannia". Khalid Sheik Mohammed è attualmente detenuto a Guantanamo e con carta e penna ha spiegato all'ex inquilino della Casa Bianca che la decisione di distruggere le Torri è sorta come reazione alla politica estera americana: "Non siamo noi ad aver iniziato la guerra - scrive - ma voi e i vostri dittatori nelle nostre terre".

Il Miami Herald ha potuto pubblicare la missiva dopo averla ricevuta dall'avvocato del terrorista,David Nevin. Come spiega l'Agi, "Mohammed si prende gioco di Obama", definendolo “un avvocato brillante, che ben conosce i diritti umani” e “può uccidere il suo nemico senza processo e gettare il suo cadavere nel mare invece di consegnarlo alla sua famiglia o rispettandolo abbastanza come essere umano da seppellire”. Il riferimento, nemmeno troppo velato, è al corpo di Osama Bin Laden. A spingere il terrorista a scrivere la lettera sarebbe stata la politica estera ameicana, specialmente sulla Striscia di Gaza. "Le tue mani - si legge - sono ancora bagnate dal sangue dei nostri fratelli e delle nostre sorelle e dei bambini che sono stati uccisi a Gaza".

“Non chiederò mai pietà a te o al tuo tribunale, fate quello che volete, la mia libertà, la mia prigionia e la mia morte sono una maledizione su tutti i malfattori e i tiranni”, ha scritto il jihadista, dicendosi pronto anche alla pena di morte qualora dovesse arrivare alla fine del processo. Dopo la sua cattura a Rawalpindi nel 2003, l'uomo ha affrontato diverse sessioni di ‘waterboarding’ nelle carceri segrete della Cia. Quella stessa Cia che, insieme all'Fbi e alla Comunità Ebraica di Brooklin egli considera alla base della violenza americana nel mondo, insieme alla "destra cristiana". Un insieme di soggetti che sotto la bandiera a stelle e striscie avrebbe versato “sangue degli innocenti" uccisi dai droni statunitensi "in Waziristan, Yemen, Iraq, Libia, Afghanistan, Somalia e altre parti del mondo”.

“Allah - continua il jihadista nella lettera - ci ha aiutato a condurre gli attacchi dell’11 settembre contro le Torri Gemelle, distruggendo l’economia capitalista, sorprendendovi con le brache calate e svelando tutta l’ipocrisia del vostro sbandierare democrazia e libertà”.

Dopo il blocco della lettera, confiscata per anni dal direttore del carcere, l'avvocato ha finalmente potuto consegnarla ai quotidiani. Il Miami Herald ha chiesto allo staff di Obama se l’ex Comandate in Capo abbia letto la lettera. Non ha ricevuto risposta.

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