Le luci e le ombre di Leonardo

Criticato dai suoi contemporanei quanto divinizzato dalle moderne generazioni, il suo nome suona tanto familiare quanto misterioso. Ecco l’ultimo rappresentante di uomo universale prima della divisione e della specializzazione delle conoscenze

Le luci e le ombre di Leonardo

Leonardo da Vinci visse il suo tempo circondato da un alone di luce e contemporaneamente immerso nell’ombra. Massimo rappresentante dell’uomo universale, si espose a non pochi giudizi negativi dei suoi contemporanei: “perfezionista eccessivo”, “pittore con troppi interessi”, “persona incapace di portare a termine le cose” e via dicendo.

A 500 anni dalla sua scomparsa, oggi la venerazione cresce ma si moltiplicano parimenti le interpretazioni critiche, tanto che il vero Leonardo poco a poco appare sempre meno riconoscibile. Ecco perché attraversare i chiaroscuri costituisce un desiderio profondo di tanti, per comprendere l’artista geniale.

Un figlio naturale di Vinci

Leonardo nacque nel 1452 a Vinci, piccolo paese vicino a Firenze. Una nascita segnata non tanto da un cerchio di luce quanto avvolta dall’oscurità sull’identità del neonato. La madre di Leonardo, tale Caterina, nel paese era una serva o ancora meno considerata, mentre Piero da Vinci era un celebre notaio di Firenze, che a causa dell’enorme differenza sociale non sposò mai quella donna. Leonardo quindi, nonostante fosse il primogenito di Piero restò un figlio illegittimo e solo pochi mesi dopo un’altra donna divenne la moglie di Piero. Fino all’età di 3 anni il piccolo Leonardo rimase a fianco della madre, dalla quale si sarebbe allontanato via via negli anni a venire. Solo molto tempo dopo, probabilmente in procinto della morte della madre, si ritrovò di nuovo insieme a lei. L’essere un figlio naturale gli avrebbe causato problemi e disturbi. Durante gli anni della sua infanzia nutrì scarso affetto verso le matrigne (ne ebbe ben tre) ed i fratellastri; nella Repubblica di Firenze, dove contava molto la discendenza, pur dimostrando bravura eccezionale il giovane Leonardo sarebbe rimasto sempre emarginato dalla cerchia dei Medici; decine di anni dopo i fratellastri l’avrebbero trascinato in una triste guerra per i patrimoni del padre e dello zio. Fortunatamente, non tutti i mali vengono per nuocere. Proprio a Vinci questo figlio illegittimo avrebbe iniziato una vita modesta con uno splendido finale.

La natura come madre e maestra

Leonardo trascorse a Vinci l’infanzia, e privo delle coccole dei genitori si gettò fra le braccia della Natura. Dalle colline vinciane il fanciullo poteva osservare giù verso la valle dell’Arno i grandi fenomeni naturali che l’atterrivano e attiravano: trombe d’aria, diluvi, vortici, temporali di fulmini. Tutto ciò sarebbe rimasto impresso indelebilmente nella sua memoria. La Natura fu la prima maestra che illuminò Leonardo, nei suoi manoscritti dichiarò varie volte che le sue conoscenze derivarono tutte dalle osservazioni e dalle esperienze dirette della Natura Madre e Natura Maestra. È vero, la filosofia naturale giocò un ruolo decisivo nelle sue ricerche e creazioni. Intorno ai 14 anni Leonardo lasciò il paese per trasferirsi a Firenze, immergendosi immediatamente in questa grande bottega rinascimentale. Ben presto si mise in mostra all’interno dello studio del celebre pittore fiorentino Andrea del Verrocchio, che pullulava già di giovani talenti: Botticelli, Perugino, Ghirlandaio. Addirittura, con la produzione di un piccolo angelo, dimostrò di possedere una bravura superiore a quella del maestro. Al confronto con gli altri discepoli della bottega Leonardo si caratterizzava per qualcosa di non convenzionale: una filosofia e una metodologia originali maturate grazie al suo rapporto con la Natura Madre.

L’aureola e l'ombra

Leonardo non è un’artista di grande produzione. Fra le sue opere meravigliose tramandate fino ad oggi (non più di 20) i lavori incompiuti sono l’assoluta maggioranza. I suoi committenti si lamentavano e si arrabbiavano: Ludovico il Moro per la statua equestre in “distocia” dubitava della sua capacità come scultore; l’abate di Santa Maria delle Grazie, in attesa disperata del Cenacolo, si lagnava con il Moro chiedendo come mai Leonardo non potesse lavorare senza pause come i giardinieri del convento; Isabella d’Este, irrefrenabile nel desiderio di essere ritrattata da Leonardo, non smise mai di sollecitare invano l’artista; Pier Soderini, senza veder mai completata la Battaglia di Anghiari, si interrogava se Leonardo avesse ingannato la Repubblica di Firenze. La maggior parte dei biografi attribuirono tale particolarità al perfezionismo dell’artista oppure ai suoi vastissimi interessi che ne distraevano l’attenzione. La domanda che ci si pone è: “se Leonardo era ben conscio che la mancanza del completamento di un lavoro gli avrebbe causato cattiva reputazione, come mai mantenne quest’abitudine fino all’ul- timo momento della sua vita?”.

Lasciando da parte parte ragioni estrinseche, diciamo subito che a Leonardo non importava condurre a termine le sue creazioni e tantomeno le sue ricerche, anzi, non gli piaceva proprio. Nella sua filosofia la Natura è in movimento e cambiamento costante e infinito, e visto che un buon pittore impara dalla Natura e il suo fine è rappresentarla, un’opera aperta e senza scadenza sarebbe la migliore soluzione per attingere dalla Natura. Solo mantenendo la creazione in un “presente continuo” un pittore avrebbe la possibilità di venire a conoscenza degli infiniti misteri della Natura, la quale è di per sé senza confini e scadenza. Per questo Leonardo maturava incessantemente la tecnica dello sfumato, fino a raggiungerne il livello massimo. Con il sovrapporsi degli strati realizzati con vernice trasparente, i personaggi e i paesaggi venivano aggiornati seguendo l’evolversi del pensiero dell’artista. Mantenere le opere in uno stato non finito diventa addirittura un bisogno psicologico di Leonardo: la fine della creazione segna la morte dell’opera. È una riflessione modernissima: diversi secoli dopo, Pablo Picasso dichiarò francamente che completare una pittura è come ucciderla distruggendone l’anima.

I manoscritti dell’“omo sanza lettera"

In contrasto con i pochi lavori artistici, Leonardo lasciò un mare di manoscritti. Nonostante che su di lui si fosse ironizzato come di un “omo sanza lettera”, a partire dal suo arrivo a Milano lui abbracciò la carriera di “altore” ovvero colui che alimenta, continuandola fino ai suoi ultimi giorni. Simile ai suoi lavori artistici, anche l’elaborazione dei manoscritti presenta un’eterna dinamicità, senza ordine, struttura e conclusione fissa. Come dice il Croce: “ciò che si deve ricercare in Leonardo è, non già il sistema, che manca, ma il significato e l’importanza di alcune sparse osservazioni, che toccano aspetti di verità chiariti poi e giustificati dallo svolgimento ulteriore del pensiero”. In ciò consiste la modernità dei manoscritti leonardeschi: superare il confine dell’ordine e della struttura, superare la conclusione statica, riconoscere la possibilità di approfondimento e di rielaborazione, rimanere sempre aperto alla verità dinamica. In parallelo alle riflessioni artistiche e scientifiche, nei manoscritti sono presenti varie note quotidiane: elenchi dei conti, consigli a sé stesso per restare in buona salute, insoddisfazione nei confronti dei suoi discepoli, nostalgia implicita della madre, tristezza per i litigi con i fratellastri... oltre a ciò, una consistente quantità di favole ed un bestiario ci permettono di conoscere un Leonardo che non è solo eccellente artista e scienziato ma anche un semplice uomo come tutti noi.

Un albero che radica nella natura

Nel tentativo di comprendere Leonardo come uomo universale, forse ognuno di noi si sarà chiesto come mai lui è stato così versatile. Dal punto di vista sociale, diciamo che Leonardo non è un genio venuto dal vuoto di un’era buia: l’età rinascimentale è un’epoca che esalta la dignità dell’uomo, centro dell’universo. Nel caso di Leonardo, la sua versatilità deriva dal suo amore infinito verso la Natura. Poiché essa non ha confine, il pittore dev’essere necessariamente universale e amare egualmente tutti i segreti della Natura, ovvero conoscerne tutto ciò che può essere rappresentato con la pittura. Se paragonassimo la ricerca e la creazione vinciana ad un albero, la pittura ne sarebbe il tronco mentre la ricerca nelle altre discipline i rami e le foglie. Solo radicandosi nella Natura e ricavandone nutrimento l’albero potrebbe crescere, ramificando e prosperando, senza confini e senza fine. Leonardo fu l’ultimo rappresentante di uomo universale prima della divisione e della specializzazione delle conoscenze. Nei 500 anni dopo la sua morte sono nate intorno a lui innumerevoli leggende che lo hanno descritto come un genio o un superuomo. Se veramente Leonardo presenta qualcosa che lo proietta avanti rispetto alla sua epoca, ciò non è dovuto ad una potenza misteriosa e soprannaturale, ma perché il suo modo di pensare, di lavorare e di creare presenta una modernità eccezionale. Essa gli ha portato risultati fruttuosi e al tempo stesso gli ha fatto pagare un costo inevitabile: per tutta la vita si trasferì da una città ad un’altra, in cerca di mecenati e senza ottenere una vera comprensione. Solo il re di Francia Francesco I lo capì, lo protesse e lo ammirò di cuore. Vasari nel suo racconto descrisse un Leonardo leggendario che muore fra le braccia del re, segno di riconoscimento da parte della famiglia reale. Fu l’ultimo sforzo dell’autore nel difendere la reputazione di Leonardo, un personaggio che ai suoi contemporanei fu arduo comprendere. Li Jingjing, professore associato di lingua e cultura italiana dell’Università di lingue straniere di Beijing, Traduttrice della versione cinese di Leonardo (di Carlo Vecce), Vincitrice dei Riconoscimenti per le traduzioni 2018.

(Li

Jingjing, professore associato di lingua e cultura italiana dell’Università di lingue straniere di Beijing, Traduttrice della versione cinese di Leonardo di Carlo Vecce, Vincitrice dei Riconoscimenti per le traduzioni 2018)

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