Maysa, jihadista mancata

Una giovane ragazza di origine marocchina che vive nel municipio di Molenbeek a Bruxelles, racconta in esclusiva a Il Giornale come stava per unirsi ai tagliagole dello Stato Islamico

Maysa, pochi giorni prima di partire
Maysa, pochi giorni prima di partire

Bruxelles - In un piccolo edificio in una stradina secondaria alle porte di Molenbeek, incontro Maysa. Il nome che ha scelto è di fantasia e in arabo significa graziosa. Ma questa storia di grazioso non ha nulla. Perché Maysa, una bella e giovane ragazza di origine marocchina, appena ventenne, stava per raggiungere la Siria ed unirsi ai tagliagole dello Stato Islamico.

Tutto inizia un anno fa, quando viene contattata da una ragazza attraverso Facebook. «Mi parlava della Siria e di quanto fosse bella la vita nello Stato Islamico». Le conversazioni con questa ragazza, sposa di un combattente, diventano sempre più frequenti. Soprattutto perchè l'adescatrice fa leva sul fatto che un amico di Maysa, partito per la Siria nel 2012, è morto in combattimento. «Mi diceva che dovevo prendere il suo posto perchè almeno non sarebbe morto invano». La voce della ventenne inizia a tremare. «Ero andata in depressione e ho iniziato a pensare che questa ragazza avesse ragione e che l'unica cosa sensata da fare sarebbe stata quella di raggiungere la Siria».

Prima Maysa era una ragazza normale. Come tanti suoi coetanei nel suo quartiere, andava a scuola e frequentava gli amici. Si truccava e, pur non bevendo alcolici, andava nei locali con la sua compagnia. All'improvviso tutto questo cambia. Smette di studiare, di truccarsi e di uscire. Inizia ad indossare prima l'jilbab, poi il niqab e si copre del tutto. Si chiude in se stessa e pensa solo ed esclusivamente ad una cosa: partire al più presto per la Siria, per prendere il posto dell'amico morto e portare a termine quello che lui aveva iniziato.

Dopo le conversazioni sul social network, inizia la seconda fase. Le due ragazze si incontrano più volte in diversi posti della città e programmano il viaggio verso la Siria, passando per la Turchia. «La ragazza è venuta a Bruxelles per prendere altre volontarie da portare in Siria e così ci siamo incontrate». Secondo le autorità sarebbero più di 500 le persone partite per la Siria dal Belgio. Tra di loro ci sarebbero almeno 50 donne. «La prima volta che ci siamo viste mi ha dato una nuova sim card ed un telefono da usare solo con lei. Da quel giorno ho iniziato ad uscire esclusivamente con le persone che mi ha presentato e lei è diventata una sorella per me».

Pochi giorni prima di organizzare la partenza per la Turchia, Maysa cerca il suo passaporto ma non lo trova. «Ho chiesto a mia madre se sapeva dove si trovasse, ma lei non lo sapeva. Ho iniziato a cercarlo ovunque, senza però trovarlo». In realtà, la mamma ha visto il cambiamento della figlia e per questo ha nascosto il passaporto. Ma non si ferma lì: compresa la grave situazione, porta la figlia ad una associazione che si occupa di deradicalizzazione. Qui Maysa scopre la realtà sullo Stato Islamico. «Mi hanno fatto vedere quello che realmente succedeva. Video orribili dove si vedeva sangue, violenza, morte e distruzione». L'adescatrice l'aveva facilmente indottrinata. «Lei mi parlava del Califfato come di un posto incantato, dove le donne venivano trattate bene. Mi diceva che ero forte e che lo Stato Islamico aveva bisogno di ragazze forti».

Grazie a questi video che l'associazione le mostra, Maysa decide di non andare. «Mi è scattato un qualcosa che ha fatto click e che mi ha impedito di partire». La reclutatrice continua a contattarla via internet dalla Siria e poi, una volta ritornata a Bruxelles, anche al cellulare. «Mi diceva che stava per venirmi a prendere. Mi chiedeva se ero pronta. E quando gli ho comunicato la mia scelta sono iniziate le minacce a me e alla mia famiglia. Avevo paura, sono entrata in depressione e non uscivo più di casa».

È passato qualche mese e Maysa, piano piano, ha iniziato ad uscire di nuovo. Ha iniziato di nuovo a mettersi lo smalto, a truccarsi e a vestirsi normalmente. Ma ha ancora paura. «Vorrei riprendere gli studi e tornare a vivere. Ma finché sono qua non posso. Penso che lascerò il Belgio presto». La sua storia è simile a molte altre tristi storie. Con una differenza fondamentale: Maysa ha avuto la fortuna che sua madre si è accorta del suo cambiamento.

Una fortuna che molto probabilmente le ha salvato la vita. Intanto, però, gli adescatori sono ancora liberi e mentre io sto parlando con lei, loro staranno scrivendo ad altre prede da convertire e portare nell'inferno dello Stato Islamico.

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