"Bellezza non convenzionale...". Ecco cosa c'è dietro la modella

Il mondo della moda vuole ingannarci con i suoi virtuosismi inclusivi e rivoluzionari. Ma la verità è un'altra, e le vittime concettuali sono sempre le stesse, come le provocazioni sono solo mera trovata pubblicitaria.

"Bellezza non convenzionale...". Ecco cosa c'è dietro la modella

Non è bello ciò che è bello...ma. Capita che un giorno ti svegli, e tutti parlano di nuovo di "body shaming": un termine insopportabilmente anglofono che starebbe a significare "derisione del corpo"; un incubo nell'era del politicamente corretto e della rivoluzione dei costumi che vuole annientare ogni crisma del passato come atto di vendetta e pentimento.

La vittima, questa volta, non è una politica del Pd con un guardaroba curioso o una giornalista troppo impegnata a fare bene il proprio lavoro dall'altro capo del mondo. È una modella. Di quelle che sfilano con abiti da decine di migliaia di euro sulle passerelle di Parigi, Milano e altrove. Suona strano? A me abbastanza, quindi come dovere professionale mi tocca andare a dare uno sguardo alle pagine rosa della cronaca, e ciò che scopro è che una delle mannequin di Gucci - termine che noi tradurremmo come "manichino" (torneremo sulla questione), ma che in realtà è un modo chic e cosmopolita per dire indossatrice - tale Armine Harutyunyan, è stata annoverata tra le 100 modelle più "sexy del mondo” trovando il tacito disaccordo di troppi partigiani della bellezza ai tempi di Claudia Schiffer e Postal Market.

La ragazza ventenne, di origini armene, con un bel paio di ingombranti e foltissime sopracciglia nere, compare su tutte le prime pagine, con il suo naso potente e lo sguardo di profondità mediorientale, immortalata mentre sfila con su un capo “alla moda” che ricorda più una camicia di forza che un abito da cocktail. Sotto, o sopra, una sequela di ”strilli” giornalistici che la definiscono "una bellezza non convenzionale". Una sorta di specie protetta da salvaguardare per il futuro. Un modo per dire “bruttarella", ma in modo ganzo, amabile e anche un po' cool. Perché nel mondo della moda - quella che il dandy Oscar Wilde definiva già nell’800 "una forma di bruttezza tanto intollerabile da essere costretti a cambiarla ogni sei mesi" - è quel mistero dei tempi moderni che riesce a rendere le ciabatte da mare che indossava nostro nonno con i calzettoni bianchi di spugna per i quali abbiamo deriso almeno un tre decenni i turisti tedeschi che colonizzavano le nostre città; un outfit indispensabile e di costosa tendenza. Qualcosa di “bello”. Diversamente bello.

Inutile chiosare sulla levata di scudi che hanno subito richiamato alle armi giornaliste e giornalisti di moda da ogni angolo della terra; opinionisti, attivisti, per fino sondaggisti, che si sono tutti prostrati di fronte alla bellezza non convenzionale della giovane dea armena. Una che sembrerebbe frequentare l'estetista con la stessa frequenza di un ufficiale di cavalleria cosacco del secolo scorso. Molto nature. E inutile cercare anche solo di scalfire l'epopea virtuosa del nuovo mondo della moda, che dopo aver ridotto per un decennio le donne all’anoressia per inseguire i loro miti, vuole riscattarsi mettendo sui cartelloni modelli transgender taglia Pitran per "cambiare i canoni della bellezza” e renderla, come tutto, necessariamente inclusiva.

Interessante, forse, sarebbe più che altro riflettere sul motivo di questa disperata ricerca di cambiamento; e su quanto sia paradossalmente ridicolo difenderlo a spada tratta - illudendosi che basti davvero dare in pasto alle armate di haters, che interagiscono sui social con la delicatezza di un bulldozer, una modella che i più etichetterebbero semplicemente come "bruttina" o “fantozziana”, per innescare quel nobile cambiamento che vorrebbe cancellare millenni di proporzioni greche, decenni di angeli di Victoria Secret’s, e un lustro di successi frivoli conquistati nell’etere da influencer con milioni di follower che si presentano dal chirurgo plastico con le loro gigantografie, nella speranza di fotocopiarsi e iniziare a campare di nulla cosmico anche loro.

Un tempo ci saremmo limitati ad esprimerci con la nota locuzione latina “de gustibus”; ma adesso che davvero anche l'assenza di proporzioni, di armonie, e la cura per le sopracciglia folte come baffi da cosacco vuole esserci venduta per divina, qualcosa ci sprona a sedere dal lato del torto che era tanto caro a Brecht. Nonostante questa volta siano i posti del torto ad essere già tutti occupati, da ignoranti e cafoni che insultano una diversità dimenticando davvero che la bellezza, sempre soggettiva, non è più obbligatoria (anche se nei modelli un po’ ce l’aspettiamo ancora). Sediamo tra loro perché guardiamo a questa trovata pubblicitaria non come una gesto spontaneo e virtuoso, ma solo come l’ennesima mercificazione tetra, frutto dei nostri tempi moderni, mediocri e ipocriti.

La mercificazione di un "manichino”. Dove la donna, illudendosi di essere soggetto rivoluzionario nella lotta ai canoni estetici imposti dal sistema, si ritrova sempre e comunque ad essere oggetto.

Qualcosa di comunque vendibile, e a che prezzo, a tutte coloro che modelle non si sono sentite mai, sotto le mentite spoglie della “bellezza non convenzionale”.

Qualcosa che personalmente, mi ricorda una dicitura poco felice che viene rivolta a persone che ho conosciuto, quella di “diversamente abile”. Un’espressione che ho sempre odiato nella sua ridicola e misericordiosa ipocrisia.

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