La nuova Cina dove il governo ​perseguita i giovani marxisti

Negli ultimi giorni numerose associazioni universitarie di stampo marxista sono state sciolte dalle autorità cinesi. Una presa di posizione governativa inquadrabile nel tentativo di contrastare le recenti proteste studentesche nate in sostegno dei diritti dei lavoratori

La nuova Cina dove il governo ​perseguita i giovani marxisti

Sembra un paradosso ma in Cina, il più grande stato socialista del mondo, la dottrina marxista può essere ritenuta socialmente pericolosa, specie se declinata per quello che era il suo scopo originario, la difesa dei diritti dei lavoratori. È della scorsa settimana la decisione dell'Università di Pechino di non rinnovare i permessi ad operare nell'ateneo ad un'associazione studentesca di stampo marxista, motivando ufficialmente il provvedimento con il mancato sostegno del corpo docenti. Una delle regole imposte alle organizzazioni universitarie per poter esercitare le loro attività infatti è quella di dover obbligatoriamente trovare un professore della propria facoltà che faccia da garante della loro serietà. Alla Peking University’s Marxist Society non sarà pertanto consentito registrarsi per quest'anno accademico, una notizia che la stessa associazione ha voluto commentare così: "Tutti possono vedere quello che abbiamo portato avanti nei cinque anni passati a favore dei gruppi studenteschi emarginati all'interno dell'ateneo". Come riporta però il quotidiano Hong Kong Free Press, il fatto in questione sì è stranamente verificato in concomitanza con la chiusura di altre associazioni universitarie marxiste presenti nel paese, avvenute rispettivamente nell'Università di Nanchino, nell'Università Tsinghua di Pechino e nell'Università Sun Yat-Sen di Guangzhou.

Difatti, anche tenendo conto delle presunte irregolarità commesse dagli studenti nel registrare le proprie organizzazioni - nonostante questi affermino di aver sempre agito correttamente contattando gli insegnanti della propria facolta, venendo però ogni volta rifiutati senza alcuna spiegazione - questo insolito eccesso di zelo da parte delle autorità scolastiche non può non destare qualche legittimo sospetto. Spulciando le cronache nazionali di questi ultimi mesi infatti si può notare come il governo di Pechino - dopo aver già duramente colpito negli anni passati giornalisti ed avvocati per i diritti civili - abbia iniziato a concentrare i suoi sforzi repressivi contro i giovani attivisti che utilizzano il marxismo come strumento per difendere il proletariato dai soprusi dei propri datori di lavoro.

Questo nuovo fermento marxista ha avuto convenzionalmente inizio con il cosiddetto Incidente Jasic, avvenuto il 27 luglio scorso nella città di Shenzhen, quando trenta lavoratori dell'azienda Jasic Technology furono licenziati in tronco ed in seguito arrestati dopo aver tentato di costituire un proprio sindacato indipendente (in Cina i sindacati sono solitamente sottoposti al controllo del governo), allo scopo di denunciare le condizioni di lavoro inumane alle quali erano costretti a sottostare. La notizia dell'avvenimento scatenò fin da subito numerose manifestazioni a sostegno degli operai, organizzate principalmente da studenti dei maggiori atenei del paese e culminate il 29 luglio in una grande adunata davanti alla locale stazione di polizia, dove decine di manifestanti finiro per cantare a squarciagola le note dell'Internazionale. A seguito di ciò non ha tardato a farsi attendere la risposta della lunga mano di Pechino, che nel corso del mese successivo ha inviato agenti antisommossa all'interno di un dormitorio universitario, arrestando circa quaranta studenti colpevoli di aver appoggiato le proteste dei lavoratori.

A questa sono successivamente seguite altre operazioni del governo, tutte inquadrabili nel tentativo di arginare il malcontento giovanile nei confronti del monolitico Partito Comunista Cinese. Il mese scorso è stato infatti arrestato Zhan Zhenzhen, membro della già citata Peking University’s Marxist Society, dopo che una sua inchiesta, pubblicata nel 2015, sulle condizioni di lavoro degli operai a basso reddito aveva conquistato l'attenzione del media. Al novembre 2017 risale invece l'arresto del ventenne Zhang Yunfun, proveniente anch'egli dall'Università di Pechino e leader di un gruppo d'ispirazione maoista, condannato a sei mesi di prigione con l'accusa di disturbo dell'ordine pubblico per aver organizzato un dibattito sul marxismo in cui affermava che quest'ultimo fosse nato allo scopo di criticare il sistema capitalista e aiutare le classi meno abbienti.

Ironicamente, appena cinque mesi fa, fu lo stesso presidente cinese Xi Jinping a visitare l'Università di Pechino in occasione delle commemorazioni per il bicentenario della nascita di Karl Marx, dove durante una conferenza tenuta davanto a più di 300 studiosi del marxismo ebbe modo di dichiarare: "L'Università di Pechino è il primo luogo in cui viene diffuso e studiato il marxismo in Cina. Essa ha offerto un grande contributo alla diffusione del marxismo e alla fondazione del Partito Comunista Cinese". In seguito Xi affermò oltretutto come l'università avrebbe dovuto aumentare i corsi di studio sulla dottrina marxista e su quella maoista, incoraggiando gli studenti stessi a promuovere il marxismo, cosa che per un certo verso già avviene al di fuori degli ambienti scolastici. Oggi nello sconfinato internet cinese infatti - e quindi molto spesso anche evitando la censura governativa - migliaia di giovani discutono appasionatamente di Marx e di Mao all'interno di chat e siti web dedicati all'argomento, proponendo soluzioni per ogni tematica, dall'inquinamento alla globalizzazione alle teorie economiche, ma sempre conformi agli ideologi del comunismo.

La Cina sta pertanto facendo i conti con le palesi contraddizioni ideologiche del suo apparato statale, dove se da una parte il pensiero marxista è parte integrante della forma mentis della cittadinanza nonché elemento fondante dell'intera nazione - tanto da essere da decenni materia obbligatoria all'interno delle università - dall'altra parte è il pensiero di Xi Jinping a controllare realmente i gangli strutturali dello stato, finendo persino all'interno della stessa carta costituzionale.

Quel socialismo dalle caratteristiche cinesi, nato con Deng Xiaoping nel 1982, che incarnatosi nel cosiddetto capitalismo di stato ha consentito al paese asiatico di diventare la potenza economica e politica che è oggi.

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