Pallottole e Parole. A margine della strage di Parigi

Gli attentati di Parigi non sono due pazzi isolati, ma il prodotto di una precisa tendenza insita nell’Islam di oggi. Una realtà di cui l’Occidente si rifiuta di prendere atto

Pallottole e Parole. A margine della strage di Parigi

È stata Al Qaeda... è stato l’IS... Il giorno dopo il raid terroristico di Parigi, che ha massacrato la redazione del “Charlie Hebdo”, le rivendicazioni, più o meno dirette e/o velate, si succedono e contraddicono, lasciando unica certezza la matrice islamista del commando, composto, nel nucleo operativo, da due cittadini francesi di origine algerina da tempo conosciuti per i loro legami con le reti di reclutamento dell’Islam radicale e reduci dalla guerra civile siriana. Due componenti di quella sorta di “brigata internazionale islamica” formata da europei di seconda e terza generazione che sembra ammontare, ormai, ad oltre tremila componenti, dei quali la più parte con passaporto francese, operativa tra Siria ed Iraq. Proprio il gioco delle rivendicazioni contrapposte lascia sospettare – come ha sottolineato Germano Dottori, intervenendo a caldo si Rainews – che dietro quest’ultimo raid vi possa essere una sorta di gara tra le due principali reti dell’islamismo radicale – Al Qaeda e lo Stato Islamico (IS) – per ottenere visibilità mediatica e, di conseguenza, per fare la parte del leone nel reclutamento di nuovi adepti. In particolare in Europa. Infatti, in seno all’Islam – prevalentemente a quello arabo, medio-orientale e maghrebino, ma non solo, vista la penetrazione della predicazione wahabita e salafita anche in paesi islamici non arabi, dall’Africa al Caucaso, all’Asia Centrale – è in corso un conflitto che si potrebbe definire “a geometrie asimmetriche”. Da un lato la lotta contro i vecchi regimi autoritari che hanno connotato l’orbe islamico negli ultimi decenni – ieri i Rais del Nord Africa, oggi il Medio Oriente, domani, in prospettiva, le stesse petro-monarchie del Golfo – e dall’altro il crescere di una riedizione in chiave moderna della Fitna, il tradizionale conflitto religioso e civile fra sunniti e sciiti, che sempre più sta monopolizzando la complessa situazione siriana. All’interno di tutto questo, però, è anche in atto lo scontro tra le diverse reti del jihadismo, che mirano ad egemonizzare il fronte del radicalismo sunnita. Al Qaeda e il, cosiddetto, Califfato o Stato Islamico, ormai apertamente in competizione fra loro, e tuttavia accomunate dall’odio verso l’Occidente. Stati Uniti ed Europa Occidentale – ma, nella versione dei jihadisti caucasici, anche e soprattutto la Russia – identificati, dalla loro propaganda, come il Grande Satana, il Nemico da additare per coedere intorno alle proprie insegne tutte le, magmatiche e ribollenti, masse islamiche.

Dunque, dietro al conflitto armato – che oggi vediamo debordare dalle strade di Kobane sino a quelle di Parigi – si cela un altro scontro: quello delle parole. Ed è scontro, battaglia non meno vitale e pericolosa. Un agone che l’Europa, e con lei tutto l’Occidente, sembra ignorare e, quindi, essere destinata a perdere. Questo a causa di una malintesa interpretazione del famigerato “politically correct”, che impedisce – ed è un vero e proprio blocco psicologico – ai nostri Media ed ai nostri intellettuali, con rare eccezioni, di chiamare le cose con il loro nome. E quindi di svelarne volto e minaccia. Prendiamo, ad esempio, l’ormai famoso/famigerato IS, o ISIS o ancora ISIL come viene chiamato... Ben di rado troviamo scritto chiaramente che si tratto di uno, anzi dello Stato Islamico. Un vero e proprio Stato – non riconosciuto dal contesto internazionale, certo, ma comunque ormai costituito in un preciso territorio, con sue istituzioni, governo, un leader riconosciuto – il Califfo Ibrahim, ovvero Abu Bakr al-Baghdadi – un esercito, una bandiera, un inno... E soprattutto una legislazione integralmente fondata sulla lettura più chiusa e restrittiva della Sharia, la legge islamica. Che, certo, può essere interpretata in molti altri modi, e che sempre, in passato, è stata considerata una fonte di ispirazione, non una “legge” tout court. Ed è questo probabilmente che ha spinto, nell’Agosto scorso, le autorità religiose dell’Università cairota di Al Azhar ha invitare tutti a non definire islamico lo Stato del novello Califfo. Un preoccupazione giustificabile, ma che sta avendo ricadute deleterie in un Occidente che sembra sempre più preoccupato di non ferire sensibilità altrui, piuttosto che di difendere la propria sicurezza e la propria tradizione.

Il rischio, concreto e presente, è di continuare a chiudere gli occhi di fronte a ciò che sta avvenendo nel mondo islamico. Perché Al Qaeda, l’IS, il Califfo, Boko Haram certo non sono e non rappresentano tutto l’Islam – che in sé contiene culture diverse e nobilissime tradizioni spirituali – ma ne fanno comunque parte. Ne rappresentano la versione, purtroppo, più moderna ed ideologica, nutrita dalle dottrine wahabite e salafite e per molto tempo, ottusamente e ciecamente, foraggiata e propugnata dai ricchissimi “paperoni” sauditi. Che oggi tremano di fronte agli effetti dell’avanzata del Califfo. È un Islam ridotto ad ideologia politica, privo di dimensione spirituale, ma proprio per questo più attraente non solo per le masse arabe, ma anche e soprattutto per i figli di un Occidente culturalmente allo sbando.

Comprendere questo, e togliersi il velo delle ubbie intellettuali che ci rende ciechi, è un passo essenziale per potersi difendere dalla minaccia incombente.

Andrea Marcigliano
Senior fellow del think tank “Il Nodo di Gordio”
www.NododiGordio.org

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