Attivisti Lgbtq e progressisti hanno preso di mira la Disney nelle ultime ore colpevole, a loro dire, di non essersi opposta con fermezza e convinzione, in Florida, al disegno di legge che vieta la "discussione in classe sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere" nelle scuole primarie dello stato. In buona sostanza, una legge che vieta la propaganda Lgbt nelle scuole elementari. La misura, soprannominata dai suoi oppositori la legge "Don't Say Gay", è stata approvata dalla maggioranza repubblicana presso la Camera dei rappresentanti della Florida e ha il pieno sostegno del governatore Gop, Ron DeSantis. Il provvedimento, che ha anche catturato l'attenzione di giornali internazionali, degli attori di Hollywood e della Casa Bianca, scatenando l'ennesima guerra culturale fra democratici e repubblicani, ha coinvolto dunque il colosso dell'intrattenimento, vittima di quello stesso politicamente corretto che negli ultimi anni ha sposato. Come riportato dall'Hollydoow reporter, lo scorso 22 febbraio, lo scrittore Benjamin Siemon, già collaboratore della Disney, ha denunciato su Twitter il colosso per non aver preso una posizione contro la legge voluta dai repubblicani della Florida. "Amo e ho amato lavorare per la Disney, ma sono profondamente rattristato dal loro silenzio quando si tratta di prendere parola contro il disegno di legge" ha osservato.
Progressisti infuriati con la Disney
Siemon non è l'unico ad essersi scagliato contro la Disney. Il dottor Eric Cervini, già finalista del Pulitzer per il suo bestseller The Deviant's War sui diritti degli omosessuali, ha attaccato la multinazionale dell'intrattenimento su Instagram: "Sono stanco di Pride posers come Disney", ha scritto, invitando i suoi follower a cancellare gli abbonamenti a Disney+ e boicottare i parchi tematici. Duro attacco è arrivato anche dal comitato esecutivo QueerTAG della Animation, il quale ha affermato che la decisione del Ceo della Disney di non rilasciare una dichiarazione contro il disegno di legge "Don't Say Gay" della Florida è un "passo falso importante". "È scoraggiante che Disney, uno dei marchi di maggior successo al mondo con enormi risorse e una piattaforma globale, non abbia intrapreso alcuna azione per aiutare a prevenire l'approvazione di questo disegno di legge", ha scritto il gruppo. Il paradosso dei liberal: si dicono a favore della libertà d'espressione, ma pretendono che tutti reagiscano e parlino con le stesse parole, allo stesso modo. Il sito web dell'azienda, a seguito delle pressioni ricevute, ha comunque voluto sottolineare il sostegno alla libertà di identità ed espressione: "Disney è leader nell'uguaglianza e nei contenuti sul posto di lavoro Lgbtq ed è impegnata in luoghi di lavoro inclusivi, sostenendo ambienti accoglienti nelle comunità locali". Polemica chiusa? Certo che no.
La riposta del Ceo Chapek non smorza le polemiche
Nonostante abbia supportato e finanziato negli anni realtà come Human Rights Campaign, Trevor Project e altre associazioni Lgbtq, per i liberal il silenzio del colosso rimane intollerabile. Cosicchè l'amministratore delegato di Walt Disney Co., Bob Chapek, ha sottolineato in una nota diffusa lunedì che l'azienda è "inequivocabilmente" con i suoi dipendenti Lgbtq, pur riconoscendo che Disney ha ancora molto da fare sul tema. "Voglio essere estremamente chiaro - ha rimarcato - io e l'intero gruppo dirigente siamo inequivocabilmente a sostegno dei nostri dipendenti Lgbtq+, delle loro famiglie e delle loro comunità. E ci impegniamo a creare un'azienda e un mondo più inclusivo". Condividiamo tutti lo stesso obiettivo, di un mondo più tollerante e rispettoso, ha poi aggiunto. "Dove possiamo differire è nelle tattiche per arrivarci.
E poiché questa lotta è molto più grande di qualsiasi legge in qualsiasi stato, credo che il modo migliore per la nostra azienda di apportare un cambiamento duraturo sia attraverso i contenuti stimolanti che produciamo, la cultura di accoglienza che creiamo e le diverse organizzazioni comunitarie che supportiamo". Il Ceo ha anche annunciato che rivedrà le sue donazioni a coloro che, di fatto, hanno sostenuto e approvato questo disegno di legge. Anche questa è cancel culture.
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