“Qual è il numero di telefono dell’Europa?” pare abbia ironicamente chiesto Henry Kissinger e la medesima domanda si porranno spesso gli amici cinesi. Sebbene per molti versi molto più unita che sessanta anni fa, l’Europa è ancora un consesso di Stati medio-piccoli molto litigioso fra loro. L’aver messo in comune dal 1999 la moneta non pare aver contribuito a diminuire questi dissidi, anzi.
Era quello dell’unione monetaria un obiettivo ragionevole? La teoria economica aveva sconsigliato gli europei a crearla, troppe le disomogeneità fra i Paesi per rinunciare a quel lubrificante del commercio internazionale che è il tasso di cambio fra valute nazionali. Una moneta comune fra Paesi implica infatti un’unione politica per cui le regioni più ricche sono disponibili a sostenere quelle più povere in maniera da perequare gli standard di vita fra le regioni dell’unione. Ma un’unione politica presuppone una solidarietà fra le regioni e dunque un sentimento diffuso di appartenenza a una medesima nazione da cui deriva la disponibilità a trasferimenti fiscali perequativi. Purtroppo questo sentimento è assente nei popoli europei, a parte forse nelle élite più benestanti e cosmopolite. Anche i lettori cinesi ben conosceranno i dissidi regionali all’interno dei Paesi europei (in Spagna, Belgio, Italia, Germania e così via) per non concludere di quanto sia allora lontana una solidarietà politica ed economica fra i Paesi europei.
La moneta unica ha così creato un corto circuito per cui i malumori che essa ha suscitato sia nei Paesi più benestanti che in quelli più disagiati hanno reso l’unione ancor meno solidale. I primi si sentono danneggiati e ritengono di stare mantenendo i secondi; questi ultimi ritengono di aver pagato il prezzo più alto senza nessuna compensazione. Secondo molti economisti, privata della valvola di sfogo di un tasso di cambio flessibile, l’Italia avrebbe subito nella moneta unica un declassamento dal novero dei Paesi più ricchi a quelli meno fortunati. Anche in questo caso si è generato un corto circuito. Avendo cercato nella moneta unica una maggiore disciplina sociale e
politica, il Paese si è trovato peggio ma abbandonare la moneta unica avrebbe notevoli difficoltà tecniche.
Alla ricerca di una ricetta per l'Europa
Nell’ambito di un’unione monetaria si restringono gli spazi nazionali di politica economica. Il dramma europeo è che vuoi per l’influenza di teorie economiche di stampo conservatore, vuoi per la divergenza fra modelli e interessi economici nazionali, non v’è neppure una vera politica economia europea che operi per il bene comune. In questo contesto i partiti politici italiani assomigliano molto ai polli di Renzo del famoso romanzo di Alessandro Manzoni I promessi sposi, i quali, portati al mercato, non sanno far meglio che beccarsi a vicenda. Dovrebbero invece utilizzare la residua sovranità nazionale per far causa comune in europa e nel mondo. La versione più ortodossa dell’analisi economica ha influenzato la costituzione economica europea: una banca centrale indipendente dal potere politico col solo obiettivo di tenere bassa l’inflazione, e nessuna politica fiscale in comune che svolga una funzione di stabilizzazione del ciclo economico e di perequazione fra i Paesi membri. La difesa dell’occupazione è lasciata alle politiche nazionali di laissez-faire, ovvero allo smantellamento dei diritti sociali.
Questa è una ricetta per la depressione economica o, a ben vedere, per un modello mercantilista in cui le esportazioni verso i Paesi extra-europei sono l’elemento trainante dell’Europa, magari anche attraverso un euro debole. Un modello guidato dalle esportazioni è desiderabile per Paesi nella fase iniziale dello sviluppo economico, ma non è accettabile da aree sviluppate anche perché può generarereazioni come le minacce americane di imporre dazi sui prodotti europei. I Paesi europei dovrebbero invece sostenere la propria domanda interna con opportune politiche che amplino i diritti sociali e salariali delle classi lavoratrici e che espandano la spesa pubblica in particolare nei Paesi che hanno contenuti debiti pubblici, con la cooperazione di politiche monetarie accomodanti.
In tal modo non solo l’Europa sosterrebbe gli standard di vita dei propri cittadini, le infrastrutture e l’ambiente, consolidando il consenso verso le istituzioni comuni, ma contribuirebbe anche alla cooperazione econo- mica globale attraverso cui tutti i grandi poli, Cina ed Europa in primis, sono chiamati a contribuire alla crescita sostenibile.Sergio Cesaratto, insegna Politica monetaria e fiscale europea presso l’Università di Siena; in Sei lezioni di economia, Diarkos, 2019, tratta dei temi di questo articolo
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