Per parlare dell'incontro tra la giurisprudenza cinese e quella occidentale è necessario fare un tuffo nel passato.
Un giorno non meglio precisato del quarantatreesimo anno della dinastia Ming, nell’anno 1615 del calendario occidentale, nella città di Nanchino, un signore, dagli occhi infossati e la barba gialla, stava guardando compiaciuto un piccolo volume fittamente scritto in caratteri cinesi, stretto nella mano: era il gesuita italiano Alfonso Vagnoni (1566-1640, nome cinese Wang Fengsu).
Il libro risultava di assai difficile comprensione e in alcuni casi trattava di argomenti mai sentiti prima: le situazioni in esso descritte erano ambientate in Occidente e il suo titolo era, infatti, "Studi occidentali”. Poco dopo l’avvio dell’“Incidente di Nanchino del 1616”, Wang Fengsu, che era stato messo in carcere, fu espulso e inviato a Macao. Alcuni anni dopo, dopo aver cambiato nome in Gao Yizhi, tornò nella Cina continentale e si stabilì nell’area di Jiangzhou, provincia dello Shanxi. Da quel momento portò avanti l’attività missionaria perseverando al contempo nello studio dei classici cinesi, confrontando le culture della Cina e dell’Occidente, e impegnandosi nella scrittura, con l’obiettivo di “favorire lo sviluppo accademico cinese”. La sua ricerca riguardò non solo l’ambito della propria dottrina religiosa, nucleo della sua missione, ma anche le scienze politiche, l’estetica e la logica di Aristotele, la teologia politica di Tommaso d’Aquino e molti altri ambiti umanistici e delle scienze sociali. Creò, inoltre, il concetto di missione accademica, fuse traslitterazione e traduzione e riorganizzò l’insieme di queste conoscenze rapportandole al confucianesimo, realizzando in questo modo studi senza precedenti: “Studi occidentali per l’autoperfezionamento”, “Studi occidentali per la regolazione della famiglia”, “Studi occidentali per il governo dello Stato”. Gli studi di Vagnoni e le opere “Sommario degli studi occiden- tali” (Xixue Fan), “Domande e risposte sull’Occidente” (Xifang Wenda) e “Ricordo di terre straniere” (Zhifang Waiji) del gesuita Giulio Aleni (1582-1649, nome cinese Ai Lueru) introdussero nel quadro complessivo degli “Studi occidentali” la “giurisprudenza” occidentale.
Queste opere non solo affermarono l’esistenza di una relazione tra la giurisprudenza e gli altri studi ma descrissero anche, in modo completo, l’importante ruolo della giurisprudenza nell’intero sistema degli studi occidentali. Vagnoni sostenne che l’educazione in Occidente inizia con la letteratura: gli studenti occidentali appartengono a tre scuole, ognuna delle quali persegue il proprio ideale di studio su temi principali quali giurisprudenza, medicina o ricerca sul principio delle cose. Il termine “Jia”, usato da Vagnoni per indicare i rami in cui si suddividevano gli studi occidentali, non era un rimando alle cento scuole che invece raggruppavano i vari argomenti di studio nell’epoca del periodo pre Qin. Tra le cento scuole, una delle più influenti era la “Fa Jia” (Scuola di Legge), e dal momento che in Occidente lo studio della giurisprudenza costituiva uno degli aspetti di studio principali, si sarebbe potuto pensare all’esistenza di una sorta di corrispondenza. Diversamente da Vagnoni, Aleni si basò sulla suddivisione per “materia” e classificò gli studi in “sei materie”, ovvero retorica, scienza, medicina, legislazione, canone, teologia. Diede un’introduzione esaustiva sulla sequenza d’ordine delle “sei materie” e ne delineò i contenuti principali. La materia legislativa era anche chiamata “leges”, “il diritto sulla vita e la morte in patria e all’estero, la legge con cui l’imperatore governa lo stato, la voce del cielo, la spina dorsale del paese, l’armatura morale, il legame tra le cinque relazioni cardine confuciane, l’ascia che divide l’eleganza dalla volgarità.”
Un tuffo nel passato
Tutto quanto sopra descritto costituisce il materiale letterario più antico mai rinvenuto su concetti metodologici occidentali in caratteri cinesi e descrive, con dovizia di informazioni, questioni di base quali concezione, natura e funzione della legge, istituzioni politiche, scuole di legge e giurisprudenza europee. Per la realizzazione di tali studi comparativi si rese necessario creare collegamenti e parallelismi fra due sistemi simbolici tra loro assolutamente non familiari e prefigurare tra essi un rapporto concettuale paritario. Molti dei gesuiti recatisi in Cina si erano impegnati nel cercare di spiegare in latino i caratteri cinesi: “Miracolo delle lettere occidentali” (Xizi Qiji), “Aiuto per gli occhi e le orecchie dei letterati occidentali” (Xiru Ermuzi), opere tramandate fino ad oggi, testimonianza del loro impegno nel superare le barriere del linguaggio e della scrittura. I gesuiti erano in grado di “parlare cinese” e di approfondire così la propria conoscenza della storia della Cina: Michele Ruggeri (1543- 1607, nome cinese Luo Mingjian) imparò 15.000 caratteri cinesi in solo poco più di due anni; Matteo Ricci (1552-1610, nome cinese Li Madou), rivolto agli europei, sottolineò più volte che “sappiamo parlare la lingua di questo Paese, e abbiamo studiato di persona le sue usanze e leggi”; Nicolas Trigault (1557-1629, nome cinese Jin Nige), per compilare e tradurre gli “Annalis Regni Sinensis”, lesse 120 libri tra cui “Shangshu” (Libro dei documenti), “Zuo zhuan” (Tradizione Zuo), “Shiji” (Memorie di uno storico), “Han shu” (Libro degli Han) e “Zizhi Tongjian” (La storia come uno specchio).
Per consentire ai lettori cinesi di comprendere nel modo mi- gliore possibile i concetti occidentali, essi selezionarono sistematicamente un certo numero di parole e frasi che esprimevano concetti occidentali. A questi termini, quali “Fa Xue” (giurisprudenza), “Fa Lü Zhi Xue” (studio della legge), “Fa Dian” (codice), vennero conferiti significati specifici e implicazioni definite che da allora sono attualmente in uso.
La giurisprudenza occidentale, introdotta per la prima volta in epoca Ming e Qing, e la giurisprudenza che sarà introdotta due secoli e mezzo dopo erano tra loro categoricamente identiche. La seconda introduzione fu relativa ad una giurisprudenza più ricca di contenuti, argomenti di comunicazione e metodi d’introduzione poiché prendeva in considerazione i molti cambiamenti avvenuti ma, in fin dei conti, non si trattava che di estensioni ed espansioni basate sulla prima introduzione. Nelle opere “Studi occidentali” (1883) di Ding Weiliang e “Iluminazione occidentale” (1896) di Ai Ruose è possibile sottolineare, oltre ad alcune caratteristiche del metodo narrativo di Ricci, come la giurisprudenza occidentale sia stata descritta in lingua cinese e come questa scelta ne abbia avviato il processo di sinicizzazione.
Questo particolare aspetto contenutistico dovrebbe essere maggiormente preso in considerazione dalla ricerca sulla moderna giurisprudenza cinese, in altre parole bisognerebbe considerare come parti integrate sia la prima introduzione che la seconda introduzione della giurisprudenza occidentale e riesaminarle entrambe alla luce della questione della ricostruzione del diritto civile cinese con uno sguardo globale. L’autore ritiene che il lavoro di analisi delle fonti del diritto, da cui si è sviluppata la moderna giurisprudenza cinese, costituisca il punto di partenza per una rinnovata efficacia e un nuovo splendore del diritto civile cinese. Approfondire la ricerca e gli studi sulla continuità tra il diritto civile cinese ed estero ha molteplici implicazioni, come ad esempio la possibilità di mettere in discussione l’idea che la “giurisprudenza” della Cina moderna sia derivata esclusivamente dal contributo giapponese della fine del 19esimo secolo.
Wang Jian
L’autore è Vice Preside della Northwest University of Political Science and Law
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