A Mosul si è ritornati a celebrare la Santa Pasqua dopo 5 anni. La seconda città irachena, adesso sostanzialmente liberata dalla presenza dell'Isis, era stata conquistata dalle milizie jihadiste dello Stato islamico nel 2014 e, proprio a Mosul, presso la moschea di Al Nuri, Abu Bakr al-Baghdadi aveva proclamato il califfato il 29 giugno 2014.
Da allora non era stato possibile celebrare la Santa Pasqua anche perchè le persecuzioni dello Stato islamico avevano provocato o la fuga dei cristiani presenti o la loro uccisione. Inoltre le chiese che non erano state distrutte o incendiate erano state prima profanate e poi usate dai fanatici islamisti come prigioni del Califfato.
Il 20 aprile 2019, presso la Chiesa dedicata all'"apostolo delle genti", San Paolo, l'unico luogo di culto che sono riusciti a ripristinare per il culto, sull'altare che conserva i resti del vescovo martire monsignor Paulos Faraj Rahho (rettore dell'arcieparchia di Mossul dei Caldei dal 2001 al 12 marzo 2008, giorno in cui è stato ritrovato ucciso), a Mosul i fedeli cristiani hanno potuto rivivere la liturgia pasquale, ricca di segni e simboli.
Il nuovo Arcivescovo caldeo di Mosul, il padre domenicano Michaeel Najeeb Moussa, aveva intorno a sè solo una quindicina di famiglie cattoliche, i pochi nuclei familiari che, attualmente, sono ritornati in città dopo la fine delle persecuzioni islamiste.
"Non bisogna aver paura", ha detto nella sua omelia Moussa, ma bisogna avere "il coraggio di essere cristiani. La nostra missione è di rendere testimonianza a Cristo. Questo è il messaggio che vogliamo trasmettere ai nostri fratelli di altre religioni e all'intero popolo iracheno".
La nuova vita di Mosul e la rinascita dell'Iraq passano, per l'arcivescovo caldeo, dal "costruire ponti di fratellanza, dal demolire i muri e dal seminare la speranza". Dalla capitale del governatorato di Ninive l'alto prelato ha spiegato che la Pasqua celebrata in Iraq, e a Mosul in particolare, è la testimonianza di come "la luce vince l'oscurità della nostra realtà quotidiana".
L'arcivescovo si è augurato che il popolo di Mosul, e tutti i fedeli della piana di Ninive, ricomincino una nuova vita. "Celebrare questa prima Pasqua qui è significativo", ha detto. Ma "la situazione rimane difficile". Infatti la maggior parte dei fedeli non è ancora tornata alle loro case e alle loro terre. Le cifre parlano di meno della metà delle famiglie che sono tornate nella piana di Ninive, per un totale di poco più di 41 mila persone.
"A Mosul la situazione è ancora più delicata e non del tutto sicura a causa della presenza degli ultimi terroristi del Daesh. Molte famiglie cristiane hanno il desiderio di tornare a Mosul, ma per ora sono solo una quindicina. Ma è il segno della rinascita", ha sottolineato il vescovo Najeeb Moussa, "riprendiamo il viaggio con questo piccolo gregge".
Per l'arcivescovo non è il numero che conta, ma la qualità della fede. "È importante vivere la nostra fede con fermezza e noi non l'abbiamo mai abbandonata, nonostante la violenza, la persecuzione e l'ingiustizia subite da Daesh. Tutto quello che è accaduto non ci ha impedito di vivere la fede oggi più forte di una volta. Nelle avversità la nostra fede è stata rafforzata".
L'arcivescovo caldeo ha spiegato che se "la risurrezione di Gesù ci spinge a non avere paura, a mostrare il valore di essere testimoni di Cristo" è anche vero che "non ci sarà futuro per i cristiani in Iraq senza giustizia".
Così, rivolgendosi al governo iracheno Moussa ha chiesto che si applichi davvero la giustizia e che si garantiscano i diritti a tutti i cittadini, "senza differenze di religione ed etnia. Si parla di cittadinanza e i cristiani sono cittadini con pieni diritti, come tutti gli altri".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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