«Non c'è nulla che fermerà la Scozia: useremo il pound . La sterlina è tanto nostra quanto loro». Mentre il primo ministro David Cameron, il suo vice Nick Clegg e il leader dell'opposizione Ed Miliband, in preda al panico, si precipitano in Scozia per un ultimo estremo tentativo di convincere gli elettori a bocciare il referendum sull'indipendenza del 18 settembre, Michelle Thomson, 49 anni - alla guida del gruppo «Business for Scotland» che rappresenta oltre 2600 imprenditori favorevoli alla secessione - mostra nervi saldi e grande ottimismo, convinta che il traguardo sia a un passo, come prevedono i sondaggi, e il Regno Unito sia già acqua passata.
A Londra il nervosismo è palpabile. Gli scozzesi a un passo dall'addio al Regno Unito dopo 307 anni: come siete arrivati a questo risultato?
«Col porta a porta, gli incontri pubblici e un'intensa attività sui social media. La grande stampa e la Bbc non presentano accuratamente il nostro punto di vista e non vedono e non colgono le sfumature di questa campagna. Solo 7 su 37 dei giornali diffusi in Scozia sono di proprietà scozzese. E solo uno su 37 si è pronunciato a favore dell'indipendenza».
Dove ha sbagliato il fronte del «No»?
«Non è radicato sul territorio. Gli unici elettori contattati dagli attivisti anti-indipendenza sono quelli che hanno una linea telefonica e molti, specie i giovani, usano solo il cellulare. Poi c'è chi vota per la prima volta, i sedicenni che non sono nei registri elettorali e per loro è come se non esistessero».
Solo disorganizzazione? E gli errori politici?
«Conservatori e laburisti si sono messi insieme per proteggere le proprie posizioni, quelle dei parlamentari di Westminster. La gente li chiama ormai Blue Tories e Red Tories ».
Cioè pensa che tra i due non ci sia differenza.
«Qui i laburisti hanno governato per decenni ma hanno prevalentemente implemetanto politiche Tory. E infatti l'attuale leadership laburista dice che continuerà sulla linea del governo di Cameron. Non sono più attenti alla giustizia sociale, vogliono conquistare gli elettori del sud-est dell'Inghilterra. E così un terzo dei laburisti ora volterà le spalle al partito e dirà sì all'indipendenza».
Il governatore della Banca d'Inghilterra ha avvertito: la Scozia non potrà tenere la sterlina. Come farete?
«Con le nostre esportazioni abbiamo contribuito a costruire il valore della sterlina. Il pound è nostro quanto loro. Il Regno Unito ha un deficit di bilancio e l'unica cosa che evita che i conti peggiorino sono i 40 miliardi annuali di esportazioni scozzesi. Governo e opposizione combattono una battaglia politica, ma dopo il voto, quando la realtà sarà lampante, come sempre cambieranno idea. Cominceranno i negoziati e sono convinta che verranno prese decisioni sensate e si andrà verso l'unione monetaria».
Lasciare Londra potrebbe costare alla Scozia 6 miliardi di tagli. Ed è già iniziata una fuga di capitali.
«Io rispondo con uno studio del Financial Times di febbraio, secondo cui una Scozia indipendente avrà un bilancio più sano di quello inglese. Poi c'è Standard and Poor's, per cui la Scozia potrebbe strappare una tripla A, il rating più alto che il Regno Unito non ha più, e potrebbe avercela anche senza petrolio. D'altra parte la Scozia raccoglie più soldi pro-capite di Regno Unito, Giappone o Francia. Secondo l'Ocse una Scozia indipendente sarebbe la 14esima economia più ricca del mondo e quella britannica la 18esima».
A proposito, potete davvero permettervi l'indipendenza? Come la sosterrete?
«Non solo col petrolio, ma con le energie rinnovabili e gli investimenti sull'istruzione. La Scozia ha il 25 per cento dell'energia delle maree e il 10% dell'energia delle onde di tutta Europa. Cinque delle nostre università sono al top della classifica mondiale. Non solo: siamo la principale destinazione per investimenti stranieri dopo la città di Londra».
Ma la disoccupazione in Scozia è al 7 per cento e la povertà è a livelli da terzo mondo.
«La disoccupazione è il cuore del problema. Ma a Westminster sono concentrati solo sui tagli, sull'austerità e sul grande business. Ecco perché vogliamo più poteri. Qui il 99 per cento del business è composto da medie e piccole imprese e a Londra guardano solo al grande business. Vogliamo alleggerire le tasse e rilanciare il manufatturiero, creare nuovi posti di lavoro nei settori emergenti, information tech nology e digitale. Ma l'85 per cento delle decisioni su come spendere le tasse scozzesi sono prese a Londra. Molte politiche contro le quali il Parlamento scozzese ha votato contro sono state varate a Westminster comunque».
Governo e opposizione promettono nuovi poteri.
«È solo uno specchietto per le allodole, hanno paura. Se avessero voluto, avrebbero potuto farlo prima, quando il primo ministro scozzese ha chiesto di inserire nel referendum una terza opzione che, oltre al sì e al no, prevedeva un ampiamento della devolution ».
È l'ora del trionfo dei nazionalismi?
«Io la chiamo autodeterminazione: le persone che vivono e lavorano qui, indipendentemente dalla loro nazionalità, sono le migliori per prendere decisioni politiche ed economiche».
Il modello sono i Paesi scandinavi?
«Non solo quelli. Un governo di successo si raggiunge con una linea più corta di governance , non troppa gerarchia e risposte veloci di fronte alle crisi».
Resterete nell'Unione europea?
«Certo, è un'istituzione in espansione. E ci ha messo solo sette mesi a incorporare la Germania dell'Est...».
Se vincerete, chi sarà il vero sconfitto: Cameron o il Partito laburista?
«Credo che andrà peggio per il Labour, ma Cameron poi dovrà vedersela con il referendum sull'Europa e senza la Scozia sarà ancora più dura».
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