Le storie dei migranti italiani negli Stati Uniti d'America

Quando si parla di accoglienza in Italia verso gli stranieri si sente spesso la retorica dei buonisti che ricorda come un tempo anche gli italiani erano emigrati in America. Ma la realtà è però un'altra

Le storie dei migranti italiani negli Stati Uniti d'America

Quando si parla di accoglienza in Italia verso gli stranieri si sente spesso la retorica dei buonisti che ricorda come un tempo anche gli italiani erano emigrati in America. Pochi anni fa, Matteo Renzi, parlando dei migranti, diceva che "questi erano i nostri nonni". La realtà però è diversa. Gli italiani che sono emigrati in America alla fine dell'Ottocento e a inizio Novecento in cerca di nuove opportunità hanno iniziato dal basso, lavorando nelle miniere e nei campi. Molto spesso venivano anche discriminati e segregati in base alla razza e, in alcuni casi, anche linciati in pubblico (Guarda la gallery).

"Mio nonno è venuto dalla Lombardia per lavorare nelle miniere al confine con il Messico e siccome aveva una carnagione più scura di alcuni anglosassoni, veniva scambiato per messicano. Soffriva molta discriminazione", mi racconta Riesha Fiorina, che ora vive nel New Mexico e lavora in un'agenzia immobiliare. Mi dice anche che adesso c'è un razzismo al contrario. Con l’ondata di immigrazione dal centro e dal sud America, infatti, gli europei e soprattutto gli anglosassoni in America vengono discriminati. Da piccola lei veniva presa in giro dalle altre ragazze sudamericane perché era bionda e con gli occhi azzurri.

“Il sentimento razziale ai tempi dell’immigrazione italiana in America era molto forte, a tal punto che anche il matrimonio tra i miei genitori - mio padre era siciliano e mia madre metà napoletana e metà barese - era considerato quasi meticcio. Era strano per i siciliani sposarsi con qualcuno al di fuori della Sicilia, anche se era italiano”, mi dice Michael D’Alfonso, che lavora nella stessa agenzia immobiliare di Riesha. Inoltre, D’Alfonso mi racconta che ai tempi dei suoi nonni le liste per le opportunità di lavoro sancite dallo Stato per le classi operaie erano divise per etnia:"Bianchi $1,75, Neri $1,50 e Italiani $1,35". Gli italiani venivano pagati meno dei neri, perché erano arrivati dopo di loro per fare i lavori da operai. Un altro ragazzo, metà siciliano e metà napoletano che ha preferito l’anonimato per motivi di privacy, mi racconta di come i suoi nonni durante la segregazione razziale bevevano dalle stesse fontane dei neri. Anche i linciaggi verso gli italiani non mancavano. C’è una foto di due siciliani immigrati che erano stati impiccati per una presunta sparatoria senza alcuna indagine o processo, che sembra risalire intorno al 1910 nel sud degli Stati Uniti.

Nonostante queste discriminazioni e maltrattamenti, gli immigrati italiani sono riusciti a guadagnarsi una reputazione come grandi lavoratori, sono diventati politici, imprenditori e artigiani di alto calibro. Riesha Fiorina mi racconta che sua nonna era Secretary of State del New Mexico ed era molto fiera di come si era battuta per i diritti delle donne nel suo Stato. Il suo nome “Elizabeth Stewart Fiorina” si trova inciso sul cartello fuori dalla Biblioteca principale della capitale del New Mexico di Santa Fe. Gli immigrati italiani hanno lasciato il segno anche nella loro mano d’opera italiana che li distingueva da tutti gli altri gruppi di americani. La cattedrale principale della città di Santa Fe è stata fatta dai muratori italiani che erano stati chiamati apposta perché erano conosciuti per le loro doti nell’artigianato. Tutte le sculture e i disegni sulle colonne nella cattedrale sono state fatte da loro. All’ingresso della cattedrale sono incisi i loro nomi e la scritta “Of the Sons and Daughters of Italy (delle figlie e i figli d’Italia)”. Il discendente di uno di questi immigrati che aveva lavorato sulla cattedrale mi dice che è “fiero” dei suoi antenati e che si emoziona ogni volta che entra nella basilica costruita da loro. Dentro la chiesa, verso la parte posteriore della cattedrale, c’è una parte in cui i disegni delle colonne sono semplicemente dipinti invece di essere scolpiti. Berardinelli mi spiega che è perché non c’erano più italiani in grado di fare lo stesso lavoro, allora hanno cercato di farne una copia dipingendo semplicemente la scultura sulla colonna. La differenza di qualità è notevole. (foto)

Ora la famiglia di Berardinelli è diventata tra le più benestanti della città, lui gestisce una delle imprese di pompe funebri più grandi della capitale. Suo nonno era diventato presidente della biblioteca della città, avvocato e magistrato e c’è un suo dipinto con una targa sotto che ricorda la sua “saggezza” all’interno della biblioteca.

Francesco D’Angelico è un altro discendente di immigrati italiani, una dalla Sicilia e l’altro dalla Puglia, che hanno portato la loro mano d’opera dall’Italia. Suo nonno era partito a 15 anni da solo con una nave, con dei parenti che lo aspettavano in America. Una delle navi che portava gli italiani in America si chiamava “Dante Alighieri” e partiva da Napoli. Ci sono ancora le copie dei documenti di questa nave, dettagliando i nomi e le origini dei passeggeri e il numero dei parenti che venivano con loro. D’Angelico mi mostra una foto con lui e i suoi quattro fratelli che hanno iniziato a lavorare come incantatori e scultori a 10 anni per aiutare il padre, poi d’Angelico mi mostra i lavori della sua famiglia che sono finite nelle riviste americane. Mi racconta che ha insegnato l’arte ai suoi figli, come a lui era stata insegnata da suo padre e a suo padre da suo nonno. Uno dei suoi figli si è sposato con Riesha Fiorina, la discendente di immigrati Lombardi, e insieme hanno avuto due figli – che però oramai l’italiano non lo sanno più.

I rapporti tra gli italo-americani sono rimasti molto forti. D’Angelico mi racconta che c’è un senso di “fratellanza”, sia per le difficoltà che hanno condiviso in passato, sia per quello che hanno ottenuto insieme come comunità in America. Anche se una volta la comunità italo-americana aveva un senso di identità più forte. D’Angelico aveva ereditato la tradizione della cucina italiana, la lingua e il dialetto dai suoi genitori.

Malinconico, mi dice che queste tradizioni si stanno perdendo ed i giovani americani di oggi sono sempre più distanti dalle proprie radici e quelli italiani si stanno scordando dei sacrifici fatti dai loro nonni.

Agli italiani che sono emigrati in America non è stato dato nulla, si sono costruiti da soli nonostante la discriminazione e il maltrattamento che hanno subito quando erano arrivati.

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