Il Partito repubblicano non si dà pace. Donald Trump è in testa alla corsa delle primarie e, in men che non si dica, potrebbe portare a casa la nomination in vista delle elezioni presidenziali di novembre. Ma c'è una mezza idea che gira da settimane nel Grand Old Party: fare il possibile per azzoppare il tycoon, arrivando alla convention senza che nessuno abbia i numeri necessari per ricevere la nomination. In questo modo, così, si riaprirebbe la partita. Il candidato che ne verrebbe fuori sarebbe il frutto di una mediazione politica. Un candidato di palazzo, scelto dall'establishment e non dagli elettori. Uno scenario rischioso per la tenuta del Partito repubblicano. Ma è uno scenario che non si può escludere a priori.
Trump è ben consapevole del rischio e, proprio per questo, mette le mani avanti. Lo fa a modo suo, senza troppo tatto. Avverte il Gop che ci potrebbero essere scontri se il partito dovesse negargli la nomination perché non raggiungerà (magari per poche decine di voti) il numero dei delegati necessari. In un’intervista alla Cnn il tycoon gioca d'anticipo: "Non credo si possa affermare che la nomination non la otterremo automaticamente". Altrimenti, ha aggiunto, "penso ci saranno tumulti. Sapete, io rappresento un numero enorme di persone, molti, molti milioni di persone". Si dice sicuro, comunque, di poter raggiungere l'obiettivo (quota 1.237 delegati) prima della convention di luglio.
Il miliardario si rende conto di non essere amato dall’apparato del suo stesso partito. Le critiche sono note: ha alzato troppo i toni, snaturando l'essenza del Partito repubblicano, fa breccia solo quando va allo scontro, ma in questo modo si gioca i voti "moderati", che a novembre potrebbero risultare determinanti.
Ma i due sfidanti, Ted Cruz e John Kasich, hanno concrete possibilità di portare a casa la nomination. I numeri parlano chiaro: con 621 delegati Trump ha superato la metà dei voti che gli servono. Cruz segue con 395, davanti a Kasich, molto più indietro, a quota 138. Intanto lo speaker repubblicano, Paul Ryan (già candidato alla vicepresidenza con Mitt Romney, nel 2012), non esclude di poter accettare la nomination nel caso, ipotetico ed estremo, di una convention repubblicana aperta, cioè senza candidati. Non lo dice chiaramente ma lo fa capire, tra le righe del suo ragionamento: "Sapete, - dice in un'intervista alla Cnbc - non ho pensato ancora molto a questa cosa, tutti dicono 'e se ci sarà una battaglia alla convention?', io dico che vi sono ancora molti che corrono per la presidenza, vedremo, chissà".
La frase dello speaker, eletto lo scorso anno al posto di John Boehner con la missione di riunire, almeno al Congresso, un partito dilaniato dalle tensioni, arriva dopo che ieri Barack Obama, invitato da Ryan al Congresso per il St. Patrick Day, ha rivolto un duro monito ai repubblicani per la campagna "volgare e divisiva" di Trump, che a suo dire mette a rischio i valori dell'America. Ryan si guarda bene dal parlare come candidato. Anzi, ricorda di non essersi voluto candidare: "Ho preso in coscienza la decisione di non farlo". Dopo qualche ora il suo portavoce prova a sgrombrare il campo da ogni dubbio: "Paul Ryan non accetterà una nomination e crede che il nostro candidato nominato dovrebbe essere uno che corre quest’anno". L'ipotesi boicottaggio sembra perdere quota.
Intanto Trump fa sapere che non parteciperà al prossimo dibattito fra i candidati repubblicani, in programma il 21 marzo nello Utah.
"Abbiamo già avuto abbastanza dibattiti", osserva il tycoon, impegnandosi a tenere quella stessa sera un importante discorso. Trump ha già saltato un dibattito repubblicano, quello su Fox Tv, in seguito alle tensioni con la moderatrice Megyn Kelly.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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