"Il suo crimine si chiama giornalismo". Così il quotidiano Cumhuriyet, tra le poche voci d'opposizione della stampa in Turchia, e per questo sotto attacco, con molti giornalisti ad oggi ancora in carcere, titolava l'articolo in cui a dicembre raccontava di un altro arresto, quello di Ahmet Şık, che negli anni alle attenzioni dello Stato deve averci fatto l'abitudine.
Giornalista investigativo, autore di un libro (L'esercito dell'imam) in cui raccontava delle infiltrazioni dei gülenisti nell'apparato statale, ai tempi in cui l'organizzazione guidata dall'imam in auto-esilio in Pennsylvania andava a braccetto con l'Akp di Recep Tayyip Erdoğan, nel 2011 Şık finiva in carcere proprio per via di quella pubblicazione, rilasciato solo un anno dopo, in attesa di processo.
Oggi, con i gülenisti ritenuti i responsabili dell'intervento militare sventato lo scorso 15 luglio, Ahmet Şık è di nuovo in carcere come molti suoi colleghi, questa volta con l'accusa di propaganda del terrorismo, per sigle che includono tanto il Pkk quanto l'Hizmet di Gülen.
Per questo poco cambia se oggi per lui è arrivata un'assoluzione nel caso che è noto come "processo Oda Tv", in cui erano alla sbarra 13 persone per sostegno ad Ergenekon, una presunta macchinazione per sovvertire l'ordine e la leadership dell'Akp, in un caso aperto nel 2011 e il cui andamento si ritiene oggi sia stato manipolato da una magistratura compiacente e vicina a quella stessa rete gülenista che oggi viene accusata del golpe, ma che allora non aveva ancora rotto con l'Akp.
"Questo potere mafioso, questa forma di male organizzato avrà ciò che
merita - ha detto oggi Şık alla stampa, condannando Erdoğan mentre veniva riportato dal tribunale al carcere di Silivri, a Istanbul -. Al führer turco e a tutto il suo partito succederà l'inevitabile".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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