Dopo il referendum contestato, in Turchia l'opposizione fa ricorso

Per la sinistra è golpe. Osce: "Milioni di schede dubbie". Akp: "Volontà nazionale"

Dopo il referendum contestato, in Turchia l'opposizione fa ricorso

È arrivata nel primo pomeriggio la richiesta del Chp, l'opposizione socialdemocratica, di annullamento del referendum costituzionale in Turchia, sul quale ancora non si sono spente le polemiche dopo che domenica il Paese si è spaccato a metà tra chi è favorevole alla transizione verso un sistema presidenziale, che garantirebbe molti più poteri a Recep Tayyip Erdogan e quanti - quasi la metà dei votanti - si oppongono alla riforma.

Contestazioni, di fatto senza precedenti, sul risultato del voto sono emerse sin da subito, con i partiti del "no" preoccupati da quella che definiscono una svolta verso l'autoritarismo e convinti di irregolarità che riguarderebbero fino a 2.5 milioni di voti, inclusi quelli inseriti nelle urne senza lo stampiglio ufficiale dei seggi, grazie a una decisione passata, a referendum già nel vivo, dalla Commissione elettorale suprema (Ysk).

Nel primo pomeriggio il Chp, secondo partito in parlamento, ha presentato ricorso, pronto ad arrivare fino alla Corte europea dei diritti dell'uomo, chiedendo l'invalidazione del risultato del voto. "Un colpo di stato contro la volontà nazionale", g detto il leader Cilikdaroglu, e anche i filo-curdi del Hdp e la fazione ribelle degli ultra-nazionalisti del Mhp continuano a ritenere che il voto non si sia svolto in condizione adeguate.

I sospetti riguardano milioni di schede, ribadiscono anche gli osservatori dell'Osce, che già avevano rilevato la situazione difficile in cui si era giunti al giorno del voto, "in un clima altamente repressivo", sotto leggi emergenziali, come ha ripetuto anche Human Rights Watch.

"Se la Commissione non cancella almeno 2.5 milioni di schede non timbrate, come fecero per molto meno nel 2014, avrà agito come un partito, non come un arbitro", accusa Osman Baydemir, portavoce del Hdp, puntando il dito contro quando avvenuto nel 2014 nella provincia orientale di Bitlis, quando le elezioni furono ripetute proprio perché l'Akp obiettò sulla presenza di schede non timbrate. Entrambi i leader del suo partito sono in carcere, accusati di sostegno al terrorismo del Pkk, e con loro undici parlamentari eletti.

"State al vostro posto", replica senza mezzi termini Erdogan, che quando i dati saranno ufficiali, probabilmente entro fine mese, potrà tornare a guidare il Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), abbandonato, ma solo in teoria, all'elezione a Presidente della repubblica, fino a due giorni fa carica di garanzia, senza affiliazioni partitiche.

Nuove manifestazioni sono state convocate per stasera nelle principali città turche, mentre in un'intervista alla Cnn Erdogan nega di cercare una dittatura e sostiene che "la democrazia prende il suo potere dalla gente, è quella che chiamiamo volontà nazionale". Ed è innegabile, nonostante il risultato non altezza delle aspettative dell'Akp, che una parte della Turchia veda ancora il partito come il candidato migliore per guidare il Paese.

"Erdogan valuti i suoi passi"

Gelida la reazione dell'Europa al referendum. E se Trump ha telefonato a Erdogan, per congratularsi del risultato - salvo poi sostenere che non si trattasse di un tacito assenso -, così come Putin, dalle cancellerie del Vecchio continente, coinvolte nella campagna referendaria da un'aspra polemica con la Turchia, arrivano tutt'altre dichiarazioni.

"L'Europa deve continuare a svolgere un ruolo di interlocuzione tra la metà del Paese schierata contro Erdogan e la metà che lo sostiene", dice in un'intervista a Repubblica Antonio Tajani, parlando della necessità di "un segnale di fermezza" e chiarendo: "Il dialogo è anche nel loro interesse, basti pensare agli accordi commerciali che ci uniscono".

Rincara la dose Margaritis Schinas, portavoce della Commissione Ue: "La Turchia valuti attentamente le proprie mosse".

Ma intanto ad Ankara la retorica nazionalista non accenna ad abbassare i toni, a partire dalla promessa di Erdogan di reintrodurre la pena di morte, con un referendum se necessario. Un passo che poserebbe la pietra tombale su un dialogo già morente.

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