Turchia, Erdogan celebra la vittoria in un referendum contestato

Verso il presidenzialismo col Paese spaccato. Partiti del "no" denunciano irregolarità

Turchia, Erdogan celebra la vittoria in un referendum contestato

51.22%: è questo il risultato - contestato - che arriva dalla Turchia, con l'Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan che già festeggia la vittoria sugli esiti non ufficiali di un referendum che ha decretato due cose: il "sì" di misura alla proposta dell'Akp di Erdogan di trasformare il Paese in una repubblica presidenziale, con una riforma che le opposizioni criticano sostenendo che non sia sufficiente a garantire la democrazia e anzi posso portare direttamente a un'autocrazia, e una spaccatura ancora più profonda della popolazione.

A pochi minuti dall'annuncio della fine dello spoglio da parte dell'agenzia stampa semi-statale Anadolu, da Ankara arrivano i primi malumori, con il socialdemocratico Partito popolare repubblicano (Chp) che sostiene 2,5 milioni di voti siano dubbi e il referendum non sia ancora finito, pronto a contestarne il 60% dei seggi e Meral Aksener, leader dei ribelli ultra-nazionalisti, convinta che l'agenzia abbia diffuso dati falsati e addirittura che il "no" poteva essere in leggero vantaggio. Proteste anche dall'Hdp filo-curdo, i cui leader sono al momento in carcere, insieme a molti parlamentari e centinaia di membri del partito, accusati di sostenere il Pkk.

Sono pesanti le contestazioni in Turchia, dovute anche alla decisione di conteggiare pure le schede non sigillate e non timbrate, arrivata durante la giornata. Contestazioni che parlano di un Paese ancora spaccato a metà, in cui sei tra le città principali, seppure alcune per pochi punti percentuali, sono andate al fronte del no: dalla capitale Ankara a Istanbul, particolarmente importante per Erdogan da quando ne era il sindaco, dalla laica Izmir alla turistica Antalya. Aumentano invece i consensi per Erdogan nelle città del Sud Est.

Per Erdogan è comunque già una vittoria e lo ha sottolineato in una telefonata al premier Binali Yildirim e all'alleato del Mhp Devlet Bahceli, grazie al quale gli emendamenti che gli concederanno molti più poteri, sono potuti passare. Non è di certo una vittoria per il partito di Bahceli, che si è fortemente spaccato, con un manipolo di ribelli che ha fatto apertamente campagna per il no e sembra avere convinto una parte non indifferente del loro elettorato.

La forbice tra i due risultati, considerate anche le condizioni molto difficili in cui chi puntava sul "no" ha fatto campagna, è meno ampia del previsto e meno ampia di quanto Erdogan stesso avrebbe voluto, ma dimostra chiaramente come una parte del Paese ancora creda nell'Akp e nel suo leader. "Non siamo riusciti a ottenere tanti 'sì' quanti ne avremmo voluti", ha commentato il vice-premier Veysi Kaynak, prima che il primo ministro - la cui carica è destinata a sparire - prendesse la parola da Ankara, parlando di "una nuova pagina che si apre nella storia della democrazia turca" e ribadendo la convinzione del suo partito che non ci siano sconfitti in un referendum che hanno definito come il modo per superare l'instabilità del Paese.

Erdogan, non ne ha mai fatto mistero, punta a rimanere in carica fino al 2029, con una costituzione che rappresenta una delle svolte più drastiche nella storia moderna della Turchia e va a sostituire quella redatta sotto il controllo dei militari dopo il golpe del 1980. "Chiedo a tutti, soprattutto ai Paesi alleati, di rispettare la decisione della nostra nazione", ha tuonato da Ankara.

Sobrio davanti alla stampa, ha poi cambiato tono con la folla in festa, ribadendo di essere pronto a convocare un altro referendum, questa volta sulla re-introduzione della pena di morte. Un passo che allontanerebbe definitivamente la Turchia, già in rotta con Bruxelles, dalla prospettiva di un ingresso in futuro nell'Unione Europea.

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