Turchia sotto il fuoco incrociato. Erdogan gioca su troppi tavoli

La strage di Capodanno spegne la festa di Istanbul dopo un anno da incubo

Turchia sotto il fuoco incrociato. Erdogan gioca su troppi tavoli

Proprio mentre Istanbul diceva addio a un 2016 che per la città e per la Turchia intera è stato tragico, punteggiato di episodi di morte che ogni volta hanno portato via decine di vite, la realtà è tornata ad abbattersi sui cittadini della metropoli.

Una realtà che parla di un assalto a mano armata la notte di Capodanno, in uno dei club più noti della città, il Reina. Sono già 39 le vittime accertate di questo nuovo, ennesimo attacco. Ma c'è la concreta possibilità che il numero dei morti, tra i quali ci sono 24 persone di nazionalità straniera, possa salire ancora nelle prossime ore.

Il governatore di Istanbul, Vasip Şahin, non ha avuto dubbi nel parlare di un "atto di terrorismo", mentre confermava nella notte un primo bilancio. Ma con una rivendicazione che ancora deve arrivare e un assalitore in fuga, resta sospeso il giudizio su chi sia da ritenersi il responsabile.

La pista più probabile è ancora una volta quella del sedicente Stato islamico, per le caratteristiche di un attacco che ha colpito i civili in un momento di festa, causando un gran numero di vittime, ma i fronti aperti in Turchia sono tanti e tutti ugualmente caldi. A dircelo la cronaca del 2016 appena trascorso.

Lo scontro con i militanti curdi

Un anno in cui il confronto tra le forze di sicurezza e i militanti curdi del Pkk è continuato incessante. Sono quasi 2.500 i caduti, da ambo le parti e tra i civili, da quando, nel luglio 2015, lo scontro è tornato ad acuirsi.

Istanbul, Ankara, ma anche la più piccola Kayseri hanno pagato pegno. Nei contesti urbani gli attentati più grossi sono arrivati però da un'altra sigla, il Tak. Per alcuni dei "fuoriusciti" del Pkk, su posizioni e con strategie più radicali, per altri solo una copertura per colpire nelle città, hanno rivendicato l'attacco fuori dallo stadio del Besiktas e i due attacchi nella capitale, con i militari nel mirino.

La crisi in Siria

Gaziantep piange le vittime del terrorismo 8

La Turchia sconta la sua guerra contro i militanti curdi, ma deve fare i conti pure con una rete ben organizzata di sostenitori del sedicente Stato islamico e con lo strabordare di una crisi siriana che non la lascia incolume neppure se, per lungo tempo, Erdogan ha dimostrato una certa indulgenza nei confronti delle fazioni jihadiste.

L'Isis non ha mai rivendicato grosse azioni all'interno dei confini turchi, ma non ci sono dubbi sul fatto che ci sia la sigla del terrorismo islamista dietro attentati come quello al principale aeroporto di Istanbul, o alla strage a un matrimonio a Gaziantep. Molti analisti sono convinti che gli uomini di Al Baghdadi non vogliano inimicarsi quelle frange della popolazione potenzialmente inclini a sostenere la loro causa.

Più diretta si è fatta, di recente, la minaccia costituita dallo Stato islamico. Più volte la propaganda ha chiesto apertamente di attaccare la Turchia, ormai un nemico a tutti gli effetti, dopo l'intervento in Siria contro le bandiere nere e contro le milizie curde che agiscono nel nord del Paese in guerra.

Le giravolte politiche e il 15 luglio

Un cartello esposto alla manifestazione a Taksim dice "no ai colpi di Stato"
Un cartello esposto alla manifestazione a Taksim dice "no ai colpi di Stato"

Non è però soltanto il terrorismo a preoccupare, in una Turchia che negli ultimi sei mesi ha assistito prima a un tentativo sventato di colpo di Stato, a cui ha fatto seguito una repressione che ancora non è finita e che ha portato in carcere migliaia di persone: giornalisti, oppositori, parlamentari della minoranza filo-curda, poliziotti e militari.

Un evento traumatico, in un periodo in cui già Erdogan aveva avviato uno stravolgimento della propria politica estera, che lo ha portato a riappacificarsi con Mosca e a una svolta sulla crisi siriana. Non sono mancate, da parte di alcuni strati della popolazione, critiche per quello che è stato letto come un "abbandono di Aleppo" e degli insorti.

Quando a cadere, ad Ankara, è stato l'ambasciatore russo Andrey Karlov, proprio per Aleppo gridava l'assassino.

Tutto ancora da dimostrare il legame tra la morte del rappresentante di Mosca e la guerra siriana, ma un fatto è certo: i fronti aperti, complici la posizione geografica e le scelte politiche sono tanti, troppi. E in Turchia si continua a morire.

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