«Lukashenko non si fermerà davanti a niente. In 27 anni al comando della Bielorussia ha perso il contatto con la realtà. È una persona per la quale il potere è diventato una malattia, che è pronta a uccidere e distruggere chiunque può e a perdere ogni aspetto umano per non perdere il potere. Una creatura pietosa. Che usa i migranti come arma. Tiene in ostaggio migliaia di persone innocenti al confine e 9 milioni di bielorussi in patria». Sviatlana Tsikhanouskaya non è un'osservatrice qualsiasi della crisi al confine tra Polonia e Bielorussia. È la leader dell'opposizione bielorussa che ha sfidato alle urne Aleksandr Lukashenko nelle elezioni dell'agosto 2020, che secondo la Ue «non sono state né libere, né regolari» ma in cui il dittatore si è proclamato vincitore per il sesto mandato. Sviatlana ha preso il testimone del marito, il blogger e attivista pro-democrazia Sergei Tsikhanousky, dopo il suo arresto il 29 maggio 2020, quando lui aveva annunciato l'intenzione di candidarsi contro il padre-padrone della Bielorussia. Costretta a fuggire in Lituania, dove vive in esilio, mercoledì interverrà alla plenaria del Parlamento europeo di Strasburgo.
Al confine con la Polonia si muore, c'è anche un bimbo di un anno. Angela Merkel telefona a Lukashenko, l'Alto rappresentante Ue per la Politica estera Borrell ha avviato contatti telefonici con Minsk. È una vittoria per Lukaskenko?
«Non ritengo normale negoziare con un dittatore. L'ho detto ai leader europei e insisterò su questo tema. Ma mi è stato assicurato che la politica della Ue non cambia. Che le sanzioni restano. Come cancelliera uscente, Merkel chiede che venga ammessa una missione umanitaria delle Nazioni Unite, per la quale anche noi ci battiamo. Lavora per fermare l'assalto della folla inferocita al confine, per bloccare la consegna di altri migranti in Bielorussia, sperando che si possano fermare nuove morti nella foresta. Ma non c'è nessuna illusione sul vero volto del regime».
Come si può fermare questa crisi?
«In nessun caso bisognerebbe cedere a pressioni e ricatti. La crisi delle frontiere è stata creata appositamente per ricattare l'Europa. Solo una posizione comune e consolidata aiuterà contro un'escalation di violenza. Non bisogna trattare i sintomi, ma la causa della malattia, che è il regime dittatoriale. Con una pressione congiunta la gente all'interno della Bielorussia e la comunità mondiale all'esterno - saremo in grado di privare il regime delle risorse con cui paga i mercenari al suo servizio. Quando non ci saranno più risorse per il loro mantenimento, Lukashenko sarà costretto ad andarsene».
Putin ieri è tornato a parlare con Lukashenko. Che partita sta giocando?
«Ovviamente il Cremlino sta sfruttando la crisi a proprio vantaggio. Per i politici civilizzati, gli interessi prioritari sono la vita e i diritti umani, il buon vicinato e la democrazia. Putin invece ha altri interessi. Solo il suo sostegno ha permesso al dittatore di mantenere il potere nel paese e di mantenerlo attraverso la violenza e l'illegalità».
E la Polonia?
«Sta proteggendo i suoi confini da un'invasione illegale. Le autorità polacche hanno cercato di trasferire gli aiuti umanitari ai migranti alla frontiera, ma le forze di sicurezza bielorusse non li hanno lasciati passare. La Polonia è fermamente attenta alla legge e allo stesso tempo cerca di aiutare le persone. Ma per fare in modo che altri migranti non cadano più in questa trappola, la trappola va distrutta. Solo la fermezza nel far rispettare la legge può impedire ai ricattatori di compiere ulteriori passi. Come nelle relazioni umane: se segui l'esempio di chi abusa, la situazione non fa che peggiorare».
Qual è la situazione in Bielorussia? Per la gente e per l'opposizione?
«L'80% delle persone vuole il cambiamento e pratica forme di resistenza non-violenta. Sabotaggi, scioperi nei luoghi di lavoro, azioni comuni organizzate via chat. Lukashenko è supportato solamente dal 13-15%: coloro che dipendono direttamente da lui e ricevono denaro per garantire il suo potere. Sì, hanno armi. Ma non producono nulla e non guadagnano soldi, li spendono solamente. La situazione economica sta peggiorando sempre di più. I soldi con cui vivono presto non saranno sufficienti. E, come tutti i mercenari, senza soldi, non lavoreranno. Sarà questo il momento in cui il regime crollerà».
Che notizie ha di suo marito?
«È in carcere dal maggio 2020. Il 29 novembre sarà un anno e mezzo che i figli non vedono il papà. Io ho sentito la sua voce al telefono solo una volta. Ora è in corso un cosiddetto "processo". Ma questo non è un tribunale come gli altri.
Il processo si svolge in una prigione a porte chiuse. Né membri del pubblico, né attivisti per i diritti umani, né media, né parenti sono stati autorizzati a partecipare. Sergei è stato privato della licenza di avvocato. Non è un processo, è una rappresaglia».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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