Una sentenza destinata a segnare la storia del diritto costituzionale americano al tempo dei nuovi media. La Corte d’Appello Federale degli Stati Uniti ha infatti stabilito per i politici americani il divieto di bloccare gli utenti che postano commenti critici sulle loro pagine social. A fare scuola è il caso "Davinson contro Randall". Brian Davinson, un cittadino americano, aveva infatti trascinato in tribunale Phyllis Randall, presidente del consiglio dei supervisori della contea di Loudoun (Virginia), accusandola di aver calpestato i suoi diritti costituzionali. Riferendosi in particolare al primo emendamento della costituzione americana, che stabilisce il diritto alla libertà di parola e di espressione, l’utente avrebbe quindi sollevato un caso politico.
A far esplodere la disputa, un commento pubblico postato sulla pagina Facebook della Randall, nel quale il concittadino Davinson criticava la funzionaria per alcune sue scelte politiche, accusandola di corruzione e conflitto di interessi. Randall avrebbe quindi rimosso il post e il commento dalla sua pagina, bloccando per tutta risposta l’utente. “La soppressione del commento critico nei confronti dei leader politici è la prima forma di discriminazione”, aveva già affermato un tribunale distrettuale della Virginia, dando ragione a Davinson. Adesso la Corte d’Appello Federale ha confermato la sentenza, sostenendo che bloccare l’utente sui social costituisca una violazione del diritto di espressione, sancito dal primo emendamento della costituzione americana.
Secondo la sentenza quindi i funzionari pubblici americani, trasformando le proprie pagine social in “forum pubblici”, devono essere pronti ad accettare qualsiasi tipo di confronto e di commento. Le pagine Facebook e Twitter dei politici diventano così delle vere e proprie agorà, teatro di contese politiche all’insegna della democrazia, arene politiche aperte al dibattito pubblico.
Censurare la libertà di espressione online, in quelle piazze pubbliche chiamate social media, si trasforma adesso in una grave violazione costituzionale. Per un politico americano, bloccare un utente sui social equivale a violarne il diritto alla libertà di parola, stabilito dal primo emendamento della costituzione americana.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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