In Venezuela il presidente Nicolás Maduro - lo stesso giorno in cui la capitale del paese, Caracas, ha subìto un'interruzione di corrente che ha coinvolto l’80% della grande città - ha riconosciuto la sua responsabilità nella grave crisi economica che il paese soffre e ha detto che ci vorranno anni per recuperare la stabilità.
Il dittatore comunista venezuelano ha stimato che saranno necessari almeno due anni per superare la grave crisi economica del Paese e "raggiungere" una ripresa con "un alto livello di stabilità".
"Basta piagnucolare", ha detto ai suoi funzionari, notando che ognuno è responsabile della sua crisi economica e non è stata colpa dell'imperialismo. "Con i modelli produttivi testati finora abbiamo fallito, e la responsabilità è nostra, è mia", ha detto Maduro in una sessione di lavoro del IV Congresso del Partido Socialista Unido de Venezuela.
Tuttavia, Maduro ha insistito sul fatto che "il Venezuela ha tutto per potere essere un potere centrale nel contesto dell'America Latina" e ha confermato che il suo governo ha l'obiettivo di estrarre sei milioni di barili di petrolio al giorno (secondo l'ultimo rapporto dell'Opec, l'Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, attualmente il paese estrae solo 1,39 milioni di barili al giorno).
"Rompere la dipendenza dal petrolio non significa che non svilupperemo l'industria petrolifera ai massimi livelli", ha affermato il dittatore.
Nonostante la sua enorme ricchezza di risorse, il paese sta attraversando una grave crisi economica, politica e sociale, con una conseguente scarsità di alimenti e medicinali di base, scarsa fornitura di servizi pubblici e con una inflazione ormai fuori controllo.
Questa situazione ha portato quasi tre milioni di venezuelani a scappare dal paese, per cercare di sopravvivere altrove.
Spesso il governo venezuelano ha incolpato per i suoi disastri economici la "guerra" economica guidata dagli Stati Uniti. Ma Maduro stesso adesso chiede ai suoi ministri di affrontare la crisi senza cercare scuse.
Maduro ha annunciato la scorsa settimana una serie di misure, tra le quali sono da menzionare l’eliminazione di 5 zeri dalla moneta locale, il Bolivar, e l’aumento delle tasse per l'importazione dei beni.
Dietro le ultime parole del dittatore chavista sembra esserci una prima presa di coscienza del disastro totale, della carestia, che il paese sudamericano sta vivendo.
Nell’ultimo biennio la migrazione, che già era notevole, è diventata un vero e proprio esodo biblico, una "diaspora venezuelana".
La maggior parte della popolazione che scappa dal Venezuela si è rifugiata nei paesi confinanti, come la Colombia e il Brasile, che hanno accolto più di 500 mila rifugiati. Altri 320 mila sono stati accolti dagli Stati Uniti di Trump (che lo scorso anno ha valutato l'opzione militare per porre fine al regime di Maduro), 250 mila sono stati accolti dalla Spagna, 70 mila dal Panama, 60 mila dall'Ecuador e 50 mila dall'Argentina, da 25 a 35 mila da Cile, Perù e Messico.
In Italia, che ha accolto circa 50 mila venezuelani scappati dal
regime di Maduro, molti di loro si stanno organizzando in associazioni per far conoscere quello che hanno vissuto sotto la dittatura comunista e per chiedere alla comunità internazionale di occuparsi del "dossier Venezuela".
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