Ieri a Teheran centinaia di studentesse delle superiori hanno sfidato la legge scoprendosi il capo in pubblico. Da settimane va avanti la rivolta delle donne iraniane che, dopo la morte per "mal velo" della 22enne curda Mahsa Amini, chiedono di liberarsi da quello che considerano uno strumento di oppressione. In Europa, invece, si combatte una battaglia di segno opposto.
Sembra un paradosso, ma tant’è. In Francia il Comitato interministeriale per la prevenzione della delinquenza e della radicalizzazione ha messo in guardia i servizi segreti della Republique su un nuovo tipo di attivismo islamista sui social network. Il fenomeno, in particolare, riguarda decine di account seguitissimi su Instagram e Tik Tok, che puntano a mettere in discussione la legge del 2004 sull'uso dei simboli religiosi nelle scuole. "Con un'acuta padronanza dei codici e delle piattaforme", scrive Le Monde, sono decine gli account che sponsorizzano tra gli studenti l’hijab, l’abaya, cioè la veste femminile che copre tutto il corpo, e l'equivalente maschile, il qamis, diffondendo trucchi per aggirare le regole che vietano di presentarsi in classe con il velo.
Le influencer pro-velo
A parlarne sono gli stessi ragazzi. Leia, racconta Le Monde, è una liceale seguita da 57mila persone su Tik Tok. Ogni giorno mostra i suoi outfit ai follower. Il velo è sempre presente. E tra uno scatto e l’altro c’è posto per gli appelli alle coetanee: "Vi voglio vedere velate una ad una". E ancora: "I ragazzi devono abbassare lo sguardo quando ci togliamo il velo davanti al liceo". Di clip del genere, con protagonisti adolescenti dai 13 ai 16 anni, ce ne sono migliaia. Basti pensare che l’hashtag #velo sulla piattaforma conta ben 447 milioni di visualizzazioni. Tantissimi esprimono disaccordo sulle regole in vigore negli istituti e tristezza per le compagne che si scoprono prima di entrare a scuola.
Un video visto 403mila volte mostra due adolescenti avvolte nell’abaya che festeggiano per essere riuscite ad entrare al liceo con gli abiti tradizionali islamici. E poi ci sono i "trucchi" delle ragazze per riuscire comunque a coprirsi. Ines spiega come nascondere i capelli legando il velo a "turbante", mentre Sirine dice che, se non ci sono alternative, i capelli "vanno legati in modo che non si veda la lunghezza né la natura". La raccomandazione, poi, quando non si può indossare il velo è quella di "non stare accanto o davanti ai ragazzi" e di parlare con loro il meno possibile. "Abbassate lo sguardo in loro presenza", suggeriscono le influencer.
L'allarme del ministero dell'Istruzione
Lo scorso 16 settembre è stato anche il Ministero dell'Istruzione francese ad invitare formalmente i rettori a vigilare sull'uso di "indumenti che possano apparentemente manifestare un'affiliazione religiosa", ricorda Le Figaro. Gli studenti e le famiglie tendono a sottolineare il "carattere culturale" di abaya e qamis. Ma questi discorsi, avvertono da rue de Grenelle, "possono mascherare la volontà di aggirare la legge".
A parlare apertamente del fenomeno, martedì mattina, è stato anche il ministro dell’Istruzione, Pap Ndiaye, annunciando ai microfoni di France 2 che a metà ottobre verranno pubblicati i dati sul numero degli studenti che vanno in classe con il velo, l’abaya e il qamis. Dietro la tendenza, secondo il ministro, potrebbero esserci "agitatori professionisti, che non vogliono il bene né della scuola né della Repubblica". Le Figaro parla di "sconfitta" della Francia laica e denuncia come tra il 2021 e il marzo 2022 la legge sulla laicità è stata violata 627 volte, la maggior parte delle quali indossando indumenti dalla connotazione apertamente confessionale.
Le minacce nei licei per chi fa osservazioni sul velo
Un professore di un liceo parigino assicura allo stesso quotidiano di aver notato "una vera e propria recrudescenza dei problemi legati all'abbigliamento". "Ci sono alcuni studenti che sono in via di radicalizzazione e che tendono a essere una sorta di censori degli altri in termini di religione musulmana, che controllano e denunciano. Lo vedo in classe e sui social network", ha aggiunto. Il problema non è da sottovalutare, visto che nella memoria dei francesi è ben impressa la fine di Samuel Paty, il professore di storia decapitato da un giovanissimo estremista proprio per aver difeso la laicità.
Le provocazioni continuano ancora oggi. A settembre uno studente del liceo Simone Weil del terzo arrondissement di Parigi è stato arrestato dopo aver preso di mira un insegnante, minacciandolo. La colpa del docente era quella di aver chiesto a sua sorella di togliersi il velo durante una gita scolastica.
Lo scorso giugno, invece, è stata addirittura promessa la morte ad una consulente didattica che aveva discusso aspramente con una studentessa che rifiutava di togliersi il velo per sostenere l'esame di maturità.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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