È scontro tra servizi di itelligence. Le autorità britanniche negano di aver ricevuto dai servizi italiani alcuna segnalazione su prossibili "progetti terroristici" da parte dell'italo-marocchino Youssef Zaghba, uno dei tre terroristi islamici che hanno seminato sangue e morte sul London Bridge sabato scorso. "Voglio andare in Siria a fare il terrorista", aveva detto l'islamista nel marzo del 2016 quando fu fermato all'aeroporto "Marconi" di Bologna. Una fonte britannica ha, infati, rivelato al Times che nella segnalazione inserita dagli italiani nel Sistema informativo Schengen (Sis) non erano state inserite quelle dichiarazioni di Zaghba.
Il primo ministro Theresa May ha subito impallinato l'MI5. Ma i servizi inglesi hanno prontamente puntato il dito contro l'Italia. La domanda a cui i servizi segreti (inglesi e italiani) sono tenuti a rispondere è semplice: perché, nonostante il fermo in aeroporto e gli indizi su Youssef Zaghba, nessuno l'ha fermato prima che attaccasse il London Bridge accanto a Khuram Shazad But e Rashid Redouane? Il capo della Polizia, Franco Gabrielli, ha subito messo in chiaro che "l'Italia ha la coscienza pulita". Sulla segnalazione fatta alla Gran Bretagna, ha poi tagliato corto, "parlano le carte". Anche il procuratore di Bologna Giuseppe Amato, criticando implicitamente le autorità britanniche per non averlo considerato un soggetto di interesse, ha assicurato che Zaghba è stato "costantemente monitorato" dalla polizia italiana negli ultimi diciotto mesi. Nella ricostruzione, però, c'è qualcosa che non torna. Secondo le fonti citate dal Times, infatti, quando Zaghba fu controllato a gennaio dalla polizia di frontiera dell'aeroporto di Stansted, l'allerta del Sis vista dagli agenti sul terminale non comprendeva il fatto che avesse dichiarato di voler raggiungere i tagliagole dello Stato islamico in Siria, ma sembrava riguardare soltanto un caso di criminalità comune.
I pm italiani ritenevano Zaghba "a rischio di radicalizzazione". Eppure non gli era stato possibile perseguirlo per reati legati al terrorismo. Dagli oggetti sequestrati nel marzo 2016, dopo il controllo all'aeroporto di Bologna e la perquisizione nella casa della madre a Castello di Serravalle, non emerse nulla di penalmente rilevante. Dal cellulare del giovane italo marocchino erano emerse immagini scaricate dal web di uomini armati (circostanza che ad oggi non rappresenta un reato) e scritte in arabo di preghiere o poesie. Accogliendo il ricorso della difesa, il tribunale del Riesame dispose, quindi, la restituzione del materiale.
Per Alex Carlile of Berriew, membro della Camera dei Lord e del Consiglio della Regina, esperto di norme antiterrorismo, l'Italia non avrebbe condiviso adeguatamente le informazioni: "Se le autorità italiane consideravano quest'uomo un terrorista, è scioccante che non l'abbiano detto nella documentazione di intelligence fornita".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.