Monete, insulti e cori: assalto al governo dentro e fuori l’Aula

Montecitorio assediato, ministri aggrediti dai manifestanti. L’opposizione attacca scatenata e la seduta viene sospesa. Ore di tensione: transenne e polizia difendono il Parlamento dal popolo viola

Monete, insulti e cori: assalto al governo dentro e fuori l’Aula

Roma - Le monetine non sono più lire ma euro, però evocano sempre la caduta craxiana. E stavolta è il «popolo viola» convocato da Pd, Idv e anche Fli fuori da Montecitorio a scagliarle contro ministri e parlamentari della maggioranza, coprendoli di insulti. «Mafiosi, mafiosi», urlano brandendo cartelli con la foto del Cavaliere e la scritta «Processus interruptus, alla tua età? Non ti vergogni?». Il sit-in si trasforma in assedio al Palazzo quando le transenne non contengono più i manifestanti che per poco non vengono alle mani con alcuni deputati.
Dentro e fuori dalla Camera si vive una giornata di violenta contestazione, dopo l’accelerazione in Aula dell’esame su processo e prescrizione breve, voluta da Pdl e Lega. Con 15 voti il Comitato dei nove ha approvato in mattinata la proposta della maggioranza di far passare al primo punto dell’ordine del giorno le norme sulla durata dei procedimenti e della prescrizione, rinviando l’esame della legge comunitaria che riguarda anche la responsabilità civile dei magistrati.
È come accendere una miccia. Pd, Idv e Terzo Polo protestano in aula contro il «blitz» per portare a casa quella che chiamano l’ultima legge ad personam, che dovrà salvare il premier innanzitutto dal processo Mills, accorciando i tempi di prescrizione per gli incensurati. «Migliaia di processi - attacca il capogruppo Pd Dario Franceschini- andranno in prescrizione. Anche quelli di imputati di violenza carnale incensurati».
«Vergogna, vergogna», gridano in aula. «Vergogna, vergogna», fanno eco dalla piazza. Mentre a Lampedusa Silvio Berlusconi, usa lo stesso termine per replicare: «Il processo Mills è una vergogna per la giustizia italiana. È una pura invenzione: ho giurato sui miei figli e sui miei nipoti che nessuno dei fatti su cui la Procura di Milano ha costruito questi processi è vero». E per il premier il ddl all’esame della Camera non riguarda il processo breve, ma il «processo europeo, che abbia tempi decenti come richiedono l’Europa e i cittadini».
Per il Guardasigilli «all’ordine del giorno c’è un’indignazione programmata del centrosinistra: se non avessimo chiesto l’inversione si sarebbero indignati per la responsabilità civile dei magistrati».
Quella che Gianfranco Fini sospende prima delle 19 è una seduta infuocata, in cui soprattutto il segretario del Pd Pier Luigi Bersani e quello dell’Udc Pier Ferdinando Casini lanciano accuse pesanti.
Scoppia anche la bagarre tra presidente della Camera e ministro della Difesa che, esasperato dall’assalto subìto dai manifestanti al grido di «buffone», accusa le opposizioni di «complicità con i violenti». Raccontano che ad Ignazio La Russa sia scappata qualche parola di troppo, dal «non mi rompere» al «vaffa..», all’indirizzo di Fini che lo riprendeva per l’alterco con Franceschini. «Non le consento di insultare la presidenza», risponde il numero uno della Camera. E andandosene, aggiunge: «Fatelo curare...». Una scenetta che provoca malumori anche nel Pdl, con Claudio Scajola e i suoi che sembrano prendere le distanze da La Russa.
Nel Pd, invece, si confrontano l’anima barricadera e quella più moderata. Rosy Bindi vuole che il Pd abbandoni l’Aula, Massimo D’Alema frena. Ignazio Marino invoca gesti eclatanti, un nuovo Aventino, Bersani ci vuole pensare. Ma in piazza da una scaletta arringa con un megafono la folla: «Combatteremo fino alla fine con tutti gli strumenti parlamentari». Va giù pesante con la Lega: «È una vergogna, predicano rigore e moralità poi votano questa norma. Andremo al nord con i manifesti: Padania breve». La Bindi non è da meno: «È giusto dar vita a mobilitazioni permanenti perché siamo in una dittatura della maggioranza.

Ci vuole un atteggiamento di rottura contro il tiranno, contro l’imperatore». E l’Idv, infine, chiede a Bersani di salire al Quirinale come capo delegazione dell’opposizione per denunciare a Giorgio Napolitano «quello che sta accadendo in Parlamento».

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