«Caro dr. Cavalli, i ventenni di oggi tendono a intrupparsi, a vivere in gruppo. Pare che abbiano smarrito il senso della loro identità personale. Spesso sono stati corrotti dai loro educatori. Non tutti certo. I ventenni di 50 anni fa erano più solitari, più portati agli studi, più disinteressati, in tutti i sensi. Con molte eccezioni. Io a 20 anni non ero felice, ma nemmeno troppo infelice. Tale sono oggi. Non ho figli, non so come sarebbero stati». Così scriveva il settantanovenne Eugenio Montale, in data 7 marzo 1975, l'anno in cui fu insignito del Premio Nobel per la letteratura, in una lettera inedita inserita nel libro di Ennio Cavalli dal titolo Ci dice tutto il nostro inviato (Rubbettino, pagg. 226, euro 18). L'allora ventisettenne Ennio Cavalli, destinato a diventare giornalista, scrittore e poeta, all'inizio del 1975 volle incontrare a ogni costo il grande poeta per un'intervista poi regolarmente uscita sulla rivista Video. Nel corso del colloquio, avvenuto in piena «contestazione», Montale ribadisce di trovare sproporzionata l'importanza conferita ai giovani, definiti «un'invenzione moderna». Il Movimento, la saldatura di avanguardie studentesche e avanguardie proletarie, non era di suo gradimento e non lo nascondeva: «Oggi gli studenti potrebbero impadronirsi del governo. Per fortuna non lo fanno. Sarebbe un caos ancora peggiore». Il 7 marzo, a intervista pubblicata, Montale scrisse a Cavalli per specificare meglio il suo pensiero. I giovani erano corrotti dai loro educatori, quelli che, col senno di poi, saranno chiamati, non a caso, «cattivi maestri».
Montale si ritagliava anche lo spazio per dare un giudizio ironico e indiretto ma spietato sulla condizione della cultura italiana: «Quello che scrive le canzoni di Gianni Morandi, ad esempio Migliacci! Pare sia il più importante poeta italiano». Parola (sarcastica) di Nobel per la letteratura.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.