Da Monti a Montezemolo: i riservisti che sgomitano

Si sentono la speranza dell’Italia, con in tasca ricette scaccia guai. Hanno un grande futuro, ma dietro le spalle

Da Monti a Montezemolo: 
i riservisti che sgomitano

Stanno lì, in attesa che si accen­da la spia rossa, con la speranza che qualcuno li chiami. Si conside­rano la riserva della nazione, una sorta di guardia nazionale pronta a intervenire quando la barca af­fonda. Non si è ancora capito bene se tifano per il tanto peggio tanto meglio, se sono in buona fede, se davvero si ritengono l’aristocra­zia in panchina che cambierà il vol­to dell’Italia o semplicemente in­seguono il volo circolare degli av­voltoi su un governo moribondo.

Di certo c’è che tutti i «riservisti» hanno in tasca la ricetta precotta per scacciare via tutti i mali e can­cellare debiti e paure. Qualcuno ha alle spalle una fondazione, altri sono da una vita in lista per un fan­tomatico governo tecnico e c’è chi dopo anni da supermanager svela che la sua pensione è la politica. C’è chi tentenna,chi è sempre sul­la soglia, chi gioca in chiaro e chi come Mangiafuoco sogna di diri­gere una compagnia di burattini.

Tutti hanno un grande futuro die­tro le spalle. Ma questo, in fin dei conti, resta un Paese per vecchi. L’ultimo a farsi avanti è Alessan­dro Profumo: «A 54 anni sono di­sposto a mettermi in gioco. La pas­sione non mi manca ». L’ex ammi­nistratore delegato di UniCredit, che ha lasciato la banca con una buonuscita di 40 milioni di euro, questo discorsetto di impegno ci­vile lo fa alla festa dell’Api di Rutel­li, a Labro, un paese in provincia di Rieti, trecentocinquanta abitanti. È arrivato qui guidato da Bruno Ta­bacci. Ed è un po’ una novità visto che per anni il suo nome era nelle liste veltroniane. Tutti quelli del Terzo Polo si spellano le mani per sottolineare quanto è bella questa idea di Profumo. Bocchino lo ar­ruola di diritto: «Se Alessandro scenderà in campo dubito che lo farà all’interno delle vecchie op­zioni politiche». Ma poi, accorto, aggiunge: «Anche se i nostri lea­der li abbiamo già ». Pisapia da sini­stra lo benedice. I colleghi della ca­sta bancaria sono chiaramente con lui, su tutti Corrado Passera, grande capo di Intesa SanPaolo: «Farà strabene. Penso che possa portare risorse utilissime».E natu­ralmente Casini lo assume nel suo governo: «Profumo ha un sacco di soldi e ha lavorato bene.

È uno de­g­li uomini più intelligenti del Pae­se. Sarà un ottimo ministro del­l’Economia ». Il Terzo Polo vive una stagione strana,un po’ virtua­le. Sulla carta hanno già deciso chi e come governerà l’Italia e parla­no come se stessero lì pronti a prendersi tutto quando i tempi sa­ranno maturi. Non hanno dubbi: sono predestinati. Basta aspettare che il Cavaliere cada e poi tocca a loro. In qualche modo ritengono che il futuro se lo sono meritato. L’unica cosa con cui si rifiutano, come se fosse un particolare fasti­dioso o irrilevanti, sono i voti. Non ne hanno, non si preoccupano di prenderli, ogni volta che vanno da­vanti all’elettore vengono pun­tualmente ignorati, ma sono con­vinti che la democrazia non trovi la sua ratio nelle scelte dei cittadi­ni, ma nelle chiacchiere dei salot­ti. Bisogna capirli quelli del Terzo Polo. Se si votasse solo nei giornali o in televisione loro sarebbero al governo da tempo. Purtroppo, per loro, l’Italia non è ancora un’oligarchia. Montezemolo, un altro dei riser­visti, perlomeno pensa prima o poi di confrontarsi con gli elettori. Ha fatto sapere che tra un anno e mezzo la sua «fondazione», tutta cervelli e distintivo, si potrebbe materializzare come partito. L’idea non è piaciuta a Bersani e D’Alema,e forse neppure alla Bin­di.

Tanto che nelle feste dell’ Unità di fine estate la sua biografia non autorizzata, scritta dal giornalista del Fatto Stefano Feltri, andava a ruba. Tutti innamorati di Corde­ro? No, tutti pronti a mettere in piazza la sua vita. Al Pd il Papa stra­niero piace solo se accetta il mar­chio di fabbrica. E Montezemolo continua a non dire da che parte sta. Durante una cena di un lunedì di luglio il club degli ottimati ave­va già scelto il premier ideale, un si­gnore perfetto per quel governo tecnico che è il sogno di tutti gli an­tidemocratici. Giovanni Bazoli, Carlo De Benedetti, Romano Pro­di e un gruppo di illustri campioni dell’alta società chiesero a Mario Monti di cominciare a scaldarsi. Tocca a lei, professore. La speran­z­a era un tonfo finanziario dell’Ita­lia. A quel punto Monti avrebbe raccolto i cocci con il mandato di rincollarli. Monti disse, giusta­mente, che lui non crede ai gover­ni tecnici e neppure a quelli at­tack.

L’ultima conferma è arrivata ieri al Tg3 : «Questo governo deve farcela, è un imperativo». Monti al massimo sarebbe disposto a spen­dersi solo in caso di una chiamata generale.

In pratica una maggio­ranza politica benedetta magari da Napolitano. Quello che Monti chiede a chi lo scomoda è molto semplice. Voi ci mettete i voti e io la faccia. Il problema in fondo è tut­to qui. Quanti elettori hanno i riser­visti?

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