Comera che dicevamo? «Non vogliamo morire democristiani». Era il nostro slogan di ragazzi comunisti, talmente forte e sentito che i tre articoli pubblicati da Rinascita a firma di Enrico Berlinguer sotto il terribile titolo «Riflessioni sull'Italia dopo i fatti del Cile», insomma la teoria del compromesso storico, o fingevamo di non averla capita o passavamo all'insofferenza per quella nomenklatura tanto rigida e distante, nonostante il «tu» e il «compagno». Attraverso gli anni di piombo, la modernità insuperata di Bettino Craxi, i gulag e il muro di Berlino, le batoste micidiali di Tangentopoli, attraverso la mediocrità degli anni in cui Di Pietro fa il ministro, una speranza c'era rimasta: mai più comunisti, anzi il comunismo è fallito con le sue bugie e le sue rovine, e proprio per questo non moriremo democristiani.
C'erano molte altre ragioni per ritenerli morti e sepolti, sia detto con rispetto. La Dc fu distrutta dagli avvisi di garanzia, ma aveva votato la relazione di Violante che inaugurava l'azione dei magistrati di Palermo, e aveva taciuto, guardato altrove, mentre Craxi parlava. La Dc era morta perché la Chiesa non mostrò grande interesse per una ricostruita unità politica dei cattolici. La Dc era morta perché altre forze divennero motivo di attrazione per gli elettori democristiani e vicini alle esigenze del magistero della Chiesa. Almeno questo restava di tanta speme.
Invece no. Il giovane democristiano invecchiato, Marco Follini, si è incaricato con una fondamentale intervista alla Stampa di stroncarci, annunciando che il Partito democratico di Walter Veltroni, al quale si è iscritto direttamente da vicesegretario, sarà la nuova Dc. «Il Paese ha bisogno di ritrovare l'equilibrio che ha perso lungo i tornanti di questa alternanza piuttosto nevrotica. In questi anni ho sempre lavorato, con le mie deboli forze, alla prospettiva di un rinnovamento, per uscire da quella foresta pietrificata che è oggi la politica italiana, per non perdere il senso di civiltà della politica. Nella mia memoria e nella tradizione in cui mi riconosco c'è il centro: vale a dire, la stabilità, la ragionevolezza, il respiro che va oltre la contingenza. Oggi qualche segnale di novità si comincia a vedere».
Per Follini anche il Pdl ha l'aspirazione a diventare una nuova Dc ma «solo l'aspirazione perché poi - spiega - nel Pdl è all'opera il demone di un carattere piuttosto dirompente. Basti pensare all'ultima polemica col Quirinale, al rapporto teso con tante istituzioni, alla difficoltà a ragionare sui corpi intermedi, quelle forze che sono l'ossatura di una democrazia moderna e anche complessa».
Il demone? Com'è democristiano tutto ciò, che inquietante deja vu. Se qualcuno ricorda che il comportamento dei nostri presidenti qualche volta si è dimostrato un po di parte, vedi le modifiche di Carlo Azeglio Ciampi al Porcellum, vedi l'incarico conferito da Giorgio Napolitano a Marini, se rompe l'aurea regola delle mani unte e della schiena piegata, vuol dire che è pervaso da un demone, e più non dimandare.
Che fa allora Veltroni? In spregio della corsa ai voti di centro, smentisce Follini, ricordandogli che lui non sarà mai stato comunista ma democristiano nemmeno?
No, lascia ancora parlare il suo Battista: «Non voglio mettere in difficoltà Veltroni, ma gli riconosco alcune caratteristiche. Lo spirito inclusivo, una certa capacità combinatoria e un tratto di mediazione risoluto quando serve, e per il resto garbato, rispettoso e tollerante. Diciamo che è tessitore».
Di suo però - gli domanda la giornalista - Veltroni tenderebbe a rendere bipartitico il sistema italiano.
Cari amici miei che votate Pd, guardatevi le spalle.
Maria Giovanna Maglie
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