Arriva un momento in cui il dolore diventa insopportabile e il corpo una prigione. Ogni giorno, ogni minuto. Senza via d'uscita. Ma un conto è decidere di gestire il percorso del fine vita caso per caso, nell'intimità del rapporto tra paziente, medico e famiglia. Un altro è regolare l'accompagnamento alla morte scrivendoci sopra una legge che valga per tutti. E in cui sia lo Stato a decidere. Sono così tante le situazioni e le sfumature da considerare che il lavoro sembra infinito (e delicatissimo) anche ora che il provvedimento, dopo il via libera alla Camera del 10 marzo, sta per arrivare in Senato.
I promotori della battaglia per poter decidere liberamente della propria vita - in testa l'associazione Coscioni - sono ben consapevoli che il prossimo voto non sarà semplice e già ora hanno dovuto digerire un passaggio che snatura le loro intenzioni iniziali: dal suicidio medicalmente assistito sono infatti esclusi i pazienti che non sono tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale (ad esempio ventilazione, alimentazione e idratazione artificiali).
Di contro, chi si oppone alla legge teme che con la legge «morire diventi troppo facile» e che a poco a poco si arrivi «a estendere la possibilità del suicidio assistito anche a chi è depresso». L'opinione pubblica, che nei sondaggi si dice favorevole alla nuova legge all'80%, in realtà ammette una profonda disinformazione: in pochi sanno che il farmaco utilizzato per porre fine alla vita è lo stesso delle iniezioni letali previste in Usa per la pensa di morte. E quasi tutti ignorano la differenza tra eutanasia e fine vita (l'eutanasia non necessita della partecipazione attiva del soggetto che ne fa richiesta, mentre il suicidio assistito sì, perché prevede che la persona malata assuma in modo indipendente il farmaco letale).
COSA DICONO I MEDICI
Il medico è il primo che rifugge l'accanimento terapeutico quando le terapie non funzionano. Che si affida alle cure palliative e rende il più umano possibile l'accompagnamento al fine vita quando eticamente non ha più senso insistere. E che, se serve, ricorre alla sedazione palliativa profonda. È lui che sa quanto la scienza potrebbe spingersi oltre per tenerci in vita, ma quando la deontologia dice di fermarsi. «Ci sono tre paletti importanti da considerare per applicare il suicidio medicalmente assistito correttamente - sostiene Claudio Santini, a nome dei medici internisti Fadoi -. Il paziente deve poter esprimere la propria volontà, la sua patologia grave non deve rispondere alle terapie e la sopravvivenza del malato deve essere resa possibile da ventilazione, alimentazione o idratazione artificiali. È fondamentale decidere caso per caso, è molto difficile regolare tutto per legge, è una decisione medica, da prendere con delicatezza secondo deontologia».
LA LEGGE
La legge prevede che il medico, il personale sanitario e amministrativo o per chiunque abbia agevolato il malato nell'esecuzione della procedura di morte volontaria medicalmente assistita non venga punito. E riconosce il diritto all'obiezione di coscienza del personale sanitario, istituendo i Comitati per la valutazione clinica presso le Aziende Sanitarie territoriali. Il testo riguarda le persone affette da una patologia «irreversibile e con prognosi infausta o da una condizione clinica irreversibile». Per morte volontaria medicalmente assistita si intende «il decesso causato da un atto autonomo, volontario, dignitoso e consapevole, con il supporto e sotto il controllo del Servizio sanitario nazionale». L'atto «deve essere il risultato di una volontà attuale, libera e consapevole di un soggetto pienamente capace di intendere e di volere».
Può fare richiesta di morte volontaria medicalmente assistita la persona che abbia raggiunto la maggiore età, che sia capace di intendere e di prendere decisioni libere, attuali e consapevoli, adeguatamente informata, e che sia stata coinvolta in un percorso di cure palliative al fine di alleviare il suo stato di sofferenza e le abbia esplicitamente rifiutate. In particolare, la legge prevede che «la richiesta debba essere manifestata per iscritto».
Le modalità di esecuzione delle procedure di accesso alla morte volontaria prevedono che il medico, una volta ricevuta la richiesta dal paziente e valutati i presupposti e le condizioni di applicazione delle norme, rediga «un rapporto sulle sue condizioni cliniche, psicologiche, sociali e familiari» al Comitato per la valutazione clinica territorialmente competente, il quale, entro 30 giorni, esprime un parere motivato. La direzione sanitaria dell'Ast di riferimento «dovrà attivare le verifiche necessarie a garantire che il decesso avvenga presso il domicilio del richiedente o in una struttura ospedaliera». Se il medico non ritiene di trasmettere la richiesta al Comitato per la valutazione clinica e in caso di parere contrario del medesimo Comitato, il richiedente l'assistenza medica al suicidio volontario ha 60 giorni per presentare un ricorso al magistrato.
Entro 180 giorni dall'entrata in vigore della legge, il ministro della Salute individua i requisiti delle strutture del Ssn nazionale idonee; definisce i protocolli e le modalità per la prescrizione, la preparazione, il coordinamento e la sorveglianza della procedura di morte volontaria medicalmente assistita; definisce le procedure necessarie ad assicurare il sostegno psicologico alla persona malata e ai suoi familiari.
Spetta inoltre al ministero della Salute stabilire le modalità per la custodia e l'archiviazione delle richieste di morte volontaria e di tutta la documentazione relativa in modo digitale.
BOOM DI RICHIESTE
Tra il febbraio e l'aprile 2022 sono state registrate rispetto allo stesso periodo dello scorso anno circa 300 chiamate in più all'associazione «Luca Coscioni». Sono arrivate da persone che chiedono, tra le altre cose, assistenza per andare a morire all'estero. Il dato dell'incremento potrebbe essere collegabile alla decisione della Consulta che, il 16 febbraio, ha dichiarato inammissibile il quesito referendario sull'abrogazione parziale del reato di «omicidio del consenziente».
«Lo scorso anno in questo arco di tempo ne arrivarono circa 900 rispetto alle attuali 1172. Stiamo parlando quindi di quasi 300 in più. Delle telefonate nel 2022, 198 sono di richieste di informazioni su eutanasia e suicidio assistito e 53 per interruzione delle terapie e sedazione profonda».
La Corte Costituzionale aveva ritenuto inammissibile il quesito perché, con l'abrogazione della norma, anche se parziale, «non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili».
Il 10 marzo scorso, la Camera ha dato il via libera, un impulso arrivato in seguito all'assoluzione del radicale Marco Cappato nel processo in cui era accusato di omicidio del consenziente per il caso di dj Fabo, rimasto cieco e tetraplegico a causa di un incidente stradale e morto in una clinica svizzera il 27 febbraio 2017.
I PRO VITA
«È assurdo che sia lo Stato a decidere della vita o della morte - insorge Jacopo Coghe, vice presidente di Pro vita e Famiglia -. I malati chiedono di non soffrire e non di morire, c'è una bella differenza. Piuttosto che parlare di suicidio assistito bisogna approfondire il tema delle terapie del dolore e finanziare la legge su questo tema. Viviamo in una società in cui sta per diventare molto più semplice l'iter per far approvare una richiesta di suicidio anziché far accettare il riconoscimento di un'invalidità. Rendiamoci conto di questo».
In conclusione, il dibattito si articola su tre questioni: la prima, sostenuta da chi ritiene che una eventuale legittimazione della pratica comporterebbe una «trasformazione inaccettabile» del ruolo del medico e degli istituti sanitari in generale.
La seconda, sostenuta da chi considera l'apertura a tale tecnica una declinazione del principio personalista e di autodeterminazione tutelato dalla Costituzione.
Infine la terza, sostenuta da chi invece si pone in una
posizione intermedia, adottando un approccio «cautelare», non considerando la pratica come un vero e proprio suicidio quanto più un liberarsi da un corpo diventato prigione, sottolineando l'importanza delle terapie del dolore.
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