Aveva un approccio alla vita che qualcuno avrebbe potuto definire low profile, probabilmente inquietandolo oltre misura. Otto anni fa, Carlo Carena, il decano dei classicisti italiani morto ieri a 98 anni, intervistato dalla Repubblica disse: «Le nostre esistenze sono del tutto trascurabili. Qualche eccezione certo. Ma per la gran parte che senso ha agitarsi, ponendosi al centro di storie che, se va bene, ci vedono marginali?». E lo pensava a dispetto di Plutarco, il quale esortava alla serenità...
La serenità, per Carena, nato a Borgomanero l'1 novembre (giorno di tutti i santi, anche dei santi eventualmente laici, come Pascal e Pico della Mirandola) del 1925, era nei libri, in quella foresta immensa della cultura all'interno della quale, in un'esistenza dedicata allo studio e alle versioni dei grandi, lui si è costruito una piccola enclave, come se fosse un rifugio adagiato fra le vette dell'intelletto. Ai tempi del collegio rosminiano di Domodossola, il suo insegnante di religione fu Clemente Rebora, il poeta. E quando si trattò di scegliere il tema della laurea in Lettere a Torino decise per «Le amicizie letterarie di Antonio Rosmini», discussa con un altro poeta, Francesco Pastonchi.
Poi, il liceo tornò a essere la sua scuola, ma da docente. «Trasmettere» fu il primo verbo praticato assiduamente da Carena, cioè trasmettere ai giovani il gusto per gli autori giganteschi. E «tradurre» lo seguì a ruota, come ricaduta naturale. Negli anni '50 lavorava già per Einaudi. Quindi, curò i greci e i latini per la collana «Classici» della Utet. E poi per la Fondazione Lorenzo Valla. Si va dalle Tragedie di Eschilo alle Vite parallele di Plutarco, appunto; da Sant'Agostino alle Lettere di San Paolo; dall'amatissimo Erasmo da Rotterdam a Virgilio. E ancora Marco Aurelio, Platone, Sofocle, Sallustio, Cicerone...
Sempre in quell'intervista, ebbe modo di scherzare sui suoi allora imminenti novant'anni, citando La Rochefoucald: «i vecchi
amano dare buoni precetti per consolarsi di non essere più in grado di dare cattivi esempi». Carena è morto in un paesino affacciato sul lago d'Orta che si chiama Ameno. E anche quest'ultima parola può suonare come citazione.
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