«Liberamente ispirato a fatti accaduti. I personaggi che vi compaiono sono frutto però della fantasia degli autori. La realtà è un punto di partenza, non una destinazione». Inizia con questo cartello Iddu di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, ultimo film italiano in concorso alla 81a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, che racconta il tentativo dei servizi segreti di catturare, nei primi anni Duemila, il terzo latitante più ricercato al mondo secondo la rivista Forbes, un certo Matteo che è naturalmente Matteo Messina Denaro impersonato da Elio Germano. Per farlo coinvolgono Catello, ex sindaco interpretato da Toni Servillo, appena uscito dopo sei anni di prigione a Cuneo. A casa trova la figlia incinta di Pino Tumino (un sempre bravo Giuseppe Tantillo) e una moglie (la meravigliosa Betti Pedrazzi) che non sopporta più i suoi sogni imprenditoriali sempre frustrati.
Lui però vuole riscattarsi e concludere a tutti i costi il grande hotel sulla costa bloccato in costruzione perché abusivo, e accetta di collaborare con la polizia (la squadra è interpretata da attori come Daniela Marra e Fausto Russo Alesi in curiosa versione veneta) iniziando una scambio epistolare, in forma di pizzini, con il suo figlioccio Matteo, praticamente sepolto dentro un appartamentino di proprietà di Lucia Russo (Barbora Bobulova).
Giocano sul registro del grottesco i due registi siciliani che con Iddu, dal 10 ottobre nelle sale, concludono la loro trilogia molto originale sulla rappresentazione della Mafia, iniziata con l'esordio molto drammatico di Salvo di dieci anni fa e proseguita con l'inserto più «fantastico» di Sicilian Ghost Story: «Il mondo che raccontiamo si prende molto sul serio e proprio per questo diventa ridicolo. Messina Denaro nella latitanza ha cominciato a leggere Baudelaire, l'autobiografia di Agassi, Le notti bianche. Aveva anche tantissimi dvd con film di Antonioni, Coppola e la serie Sex and the city che corrisponde all'altro suo interesse dominante, quello per le donne», ricorda Antonio Piazza che l'argomento lo conosce bene: «Mio padre era un piccolo imprenditore edile a Palermo che negli anni '80 e '90 ebbe cantieri bruciati e, quando sporse denuncia, misero una bomba a casa nostra». A questo proposito Toni Servillo si chiede «come sia stato possibile che un Paese come il nostro che vanta una cultura che il mondo ci invidia non riesca a opporsi a un universo di una tale mediocrità che ha favorito per anni un uomo che teneva in scacco una regione e un paese?».
Mentre Elio Germano sottolinea che il suo
personaggio è «un ritratto di bassezza umana anche se dietro ogni azione malvagia c'è un essere umano. Non possiamo considerare i mafiosi come qualcosa di altro da noi. La mafia, come diceva Falcone, è un fatto di uomini».
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