Allora Roma era la «Hollywood sul Tevere» e l'atelier di Fernanda Gattinoni nella capitale era una meta imprescindibile per le dive del cinema.
Cinque icone, in particolare: Ingrid Bergman, Kim Novak, Lana Turner, Audrey Hepburn, Anna Magnani.
Gli abiti creati per loro e altre star sono ora a Parigi, nella sede dell'Istituto Italiano di Cultura (rue de Grenelle), esposti fino al 30 luglio in una mostra curata da Sofia Gnoli. Si chiama proprio: «Fernanda Gattinoni. Moda e stelle ai tempi della Hollywood sul Tevere».
Nell'archivio storico dell'atelier romano sono stati scelti 21 dei 400 modelli, per descrivere il rapporto tra la grande sarta italiana e alcune tra le maggiori dive del passato d'oro del cinema e della Dolce Vita.
Dalla seconda metà degli anni '40, la sartoria di Fernanda Gattinoni fu scelta dal jet set internazionale di passaggio per la capitale.
Tra le cinque star più affezionate, il rapporto si fece particolarmente intenso con Ingrid Bergman e Anna Magnani.
Per la musa di Roberto Rossellini la Gattinoni disegnò il corredo personale, e abiti di scena di «Stromboli», «Europa 51», «Viaggio in Italia», «Fiore di Cactus».
Per la Magnani, che vestì in «Siamo donne» di Visconti, Fernanda divenne la sarta prediletta. «Non le importava nulla di vestirsi, voleva solo piccoli abiti neri», raccontava ai suoi collaboratori la sarta. E 4 di quelle «piccole robes noires» sono esposte in una sorta di camerino di prova a lei riservato.
La più vamp dei cinque miti, Kim Novak, nella mostra ha il posto d'onore: l'abito nero in raso a sirena con scollo all'americana in pizzo macramè e un grande fiocco dietro, troneggia al centro della sala.
Audrey, diceva Madame Gattinoni, «era troppo perfettina, a me i perfettini non piacciono». Però aggiungeva che era «alta e snella e ogni abito su di lei diventava luminoso come un gioiello».
Era invece piccolina Lana Turner, che la stilista «conquistò con un bustier che ne metteva in risalto il seno e la vita» da pin up. Per lei Madame disegnò abiti con motivi di sapiente drappeggio che spiccano come corolle di fiori sulle pareti chiare che fanno da scrigno ai modelli, preziosi quanto semplici.
Secondo la Gattinoni, infatti,«un vestito non è chic se la gente si volta a guardarlo». La grande giornalista di moda Irene Brin scrisse: «Fernanda vestì in flanella grigia la maharani di Palampour, negandole gli abituali drappeggi dorati, e avvolse Evita Peron in semplici sete lombarde, rifiutandole l'abito rosa con stola di visone intinta che avrebbe voluto».
Aveva le idee chiare, Madame, se una cosa non le piaceva non la faceva. Rifiutò anche di sfilare a Palazzo Pitti «dove andavano tutte», e di lavorare con Coco Chanel: rimase sconvolta dalle parolacce e dalle sue dita gialle di nicotina.
Non le piaceva neppure Elizabeth Taylor, «perchè impestava il camerino di whisky».
I rapporti tra madame Gattinoni e le dive del jet set, le star di Hollywood, first ladies e ambasciatrici li raccontano oggi il manager di Gattinoni, Stefano Dominella e il direttore creativo, Guillermo Mariotto.
Venivano a Via Toscana, diventato un salotto internazionale, anche Lucia Bosè, Rossella Falk, Gina Lollobrigida, Monica Vitti, l'ambasciatrice Usa Claire Boothe Luce, Betty Davis, Marlene Dietrich, Lana Turner.
In mostra ci sono, dunque, costumi di scena creati per Ingrid Bergman, indimenticabile interprete di «Europa 51» (1952) e «Fiore di Cactus»(1969), abiti «privati» realizzati per Lana Turner, protagonista de «La fiamma e la carne» (1954), Kim Novak (a lei Fernanda Gattinoni dedicò la collezione «Casanova») accanto all'abito in moirè di seta avorio con inserti decor in velluto nero che fu scelto dalla Magnani nel 1951, per la presentazione del film «Bellissima», diretto da Luchino Visconti.
Una sezione speciale è dedicata ad Audrey, indimenticabile Natasha di «Guerra e Pace», nel film diretto da King Vidor, che valse a madame Gattinoni la nomination all'Oscar per i costumi.
Per far da cornice agli abiti ci sono tante fotografie storiche ed estratti di film, dove vengono indossati dalle dive i modelli della griffe.
«Siamo felici di poter ospitare nella nostra sede la mostra dedicata a Fernanda Gattinoni - racconta il direttore dell'Istituto italiano di cultura, Rossana Rummo -, che esalta la moda e il cinema nel loro reciproco contaminarsi. Gattinoni, come poche altre maison italiane amatissime in Francia, come Valentino e Armani, è tra i testimonial del nostro made in Italy nel mondo».
Per Dominella, più che una mostra nostalgica è «un modo per raccontare l'oggi partendo da Parigi, una città che ha sempre fatto parte del dna della nostra maison, come un luogo dell'anima».
Fernanda aveva cominciato a lavorare, giovanissima, presso Molyneux, e ritornava spesso nella capitale francese anche dopo aver aperto la sua maison a Roma, che ricordava molto gli atelier parigini.
Chez Gattinoni le star si sentivano un pò «come a casa, anche se in modo diverso e si facevano consigliare da Madame». Tanti racconti di allora fanno ormai parte dell'aneddotica della maison. Dominella ricorda le spremute d'arancia di Audrey Hepbun. «Una ogni ora, che travasava nel suo thermos nelle estenuanti prove degli abiti di "Guerra e Pac, anche 7-8 ore di fitting».
L'attrice arrivava prestissimo in atelier per le prove, alle 7 del mattino, prima delle sarte, prima di Madame. Si sdraiava su un divano, mascherina nera sugli occhi e aspettava che qualcuno venisse a chiamarla.
Fernanda amò a tal punto quei costumi dalla foggia fluida e verticale, che dedicò allo stile Impero la linea Natascia. La stessa Audrey fu la prima fan della collezione e ordinò ben 5 abiti e un mantello. Per lei Gattinoni firmò gli abiti di un altro film, "Capri love me", lanciando la moda dei pantaloni capresi che la grande attrice non abbandonò più.
La prima volta che venne in atelier, Ingrid Bergman si fece accompagnare dal duca di Luino. Fernanda Gattinoni la salutò, scrutò i suoi piedi e le domandò, semplicemente: «Ma che numero di scarpe ha? Sarà sicuramente un problema».La grande attrice svedese portava il 41.
Per Madame, però, la più difficile era la Magnani. «Insofferente ai fitting -dice Dominella-, a volte insopportabile. Non aveva pazienza. L'importante per lei era che il vestito fosse nero e molto stretto in vita».
Il direttore creativo della maison Gattinoni,Mariotto, assicura che «il mood parigino si respira ancora nell'atelier di via Toscana. Sono le sue stesse radici, il cuore pulsante della nostra maison, dall'appeal assolutamente contemporaneo, che trasforma il passato in fonte di inesauribile creatività».
Anche lo stile Impero è stata « ricreato e rivisitato con tessuti sperimentali e fibre ecologiche, sintetiche, tessuti di organza, materiali meno nobili e più contemporanei», spiega lo stilista.
Dopo Parigi «Fernanda Gattinoni.
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