![Museo Leonardo in Galleria. Ora l'appello a Mattarella](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2025/02/13/1739435149-8264733-large.jpg?_=1739435149)
Quer pasticciaccio brutto in Galleria è diventato ancor più brutto: per salvare il Museo Leonardo 3 il direttore ha annunciato uno sciopero della fame. La vicenda del museo che si trova al secondo piano della Galleria Vittorio Emanuele e che ora è a rischio chiusura avrebbe bisogno di un neologismo coniato da Gadda per essere adeguatamente descritta. Il contenzioso con il Comune, che intende sfrattare il museo, è ora in mano al Tar della Lombardia, con una prima udienza prevista per il primo aprile. Ma Massimiliano Lisa, direttore e co-fondatore del museo, ha deciso di prendere il toro per le corna: dopo i numerosi appelli, andati deserti, al sindaco Sala e dopo aver dato incarico ai suoi avvocati di intraprendere le azioni del caso, ha annunciato che, «se la politica resterà sorda», dal 1° marzo inizierà lo sciopero della fame. Come si è giunti a tanto? Riavvolgiamo il nastro. Il museo, che ha appena registrato un anno col botto (270mila visitatori, il 60% stranieri, sesto museo più visto in città) nasce nel 2013: inizia come «spazio culturale» nell'Hotel Seven Stars ma il successo di pubblico è tale da vedere rinnovato l'accordo tra l'hotel e quello che oggi è l'attuale museo che espone circa 50 modelli di macchine di Leonardo e diverse riproduzioni digitali. Gli anni passano e il museo resta aperto grazie a un accordo di subconcessione con l'hotel che nel frattempo ha cambiato proprietà («un contratto ammesso dalla legge, che il Comune, volendo, potrebbe approvare», dice Lisa). Recentemente, le complicazioni: la concessione demaniale dell'hotel, ora il Galleria Vik, è stata sottoposta a decadenza per attivare un nuovo bando (e qui basterebbe ricordare che la sola Galleria rende, in termini di affitti, 90 milioni di euro l'anno alle casse di Palazzo Marino). L'hotel ha fatto ricorso al Comune che nel frattempo aveva comunque garantito al museo la possibilità di continuare le attività: va detto che negli anni il museo ha continuato a pagare, per un totale di 300mila euro, la concessione di suolo pubblico per i pochi metri quadrati al piano terra della Galleria che servono a prendere l'ascensore, salire al secondo piano e accedere alle sale. Le cose sono precipitate lo scorso novembre quando una pec dal demanio annunciava al museo che la concessione di attività veniva ritirata. Palazzo Marino ha replicato in serata «che non ha nè l'intento nè la facoltà di interrompere l'attività espositiva». E ha precisato che le sorti del museo «sono collegate procedimento di decadenza avviato nei confronti del concessionario (l'hotel)». Martin Kemp, professore emerito di Oxford che del Museo Leonardo 3 è consulente, aveva rivolto nelle scorse settimane un accorato appello pubblico alle istituzioni cittadine, acquistando pagine su diversi quotidiani. E ora lo studioso ha scritto anche al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, alla premier Giorgia Meloni, al ministro della Cultura Alessandro Giuli e al presidente della Regione Attilio Fontana. Massimiliano Lisa, ventilando presunte irregolarità sugli spazi tra via Silvio Pellico e la galleria concessi senza bando alla società Highline (che gestisce la passerella e le Terrazze) con cui il museo condivide l'ingresso, conclude: «Mi rifiuto di vivere in una Milano capace di chiudere un museo che non chiede un euro di finanziamento pubblico e mi rifiuto di aspettare l'udienza del Tar: trovo tutto questo immorale.
Basterebbe sedersi a un tavolo e risolvere la situazione». Altre strade si potrebbero percorrere, ad esempio scorporando il museo dall'hotel e attivando una concessione per attività culturali, dunque a canone scontato, come si è già fatto con la libreria Rizzoli.
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