In effetti c’è qualcosa di colossale che arriva con Ornella Vanoni sul palco delle Terme di Caracalla. È la sua storia che è per forza anche la nostra, la storia dell’ultima diva della canzone d’autore che con la voce, le parole e le polemiche, persino con il suo modo di essere ribelle, ha accompagnato l’ultimo mezzo secolo abbondante di questa italianità confusa. Ha iniziato a metà anni Cinquanta in bianco e nero, prima recitando Pirandello e poi come cantante della «mala» milanese, è passata per Strehler e Gino Paoli e la saudade brasiliana, è stata imitata, applaudita, criticata, adorata come forse nessuna altra signora della canzone. Soprattutto, ci ha messo sempre la faccia.
Non si è ritirata come Mina, è rimasta sempre sotto i riflettori e lo era pure l’altra sera, con le maestose Terme di Caracalla alle spalle e 4.500 persone davanti, per un paio d’ore che sono state un omaggio alla sua musica, ai colori della sua voce, alla nostra memoria. Lei, con uno splendido vestito cobalto che riflette i colori della notte, sul palco dice subito che «stare qui ha il sapore dell’eternità» e sceglie come brano d’apertura Aria con quel verso («Amerai prima di morire») che forse è il riassunto estremo della sua vita e il filo conduttore di applausi continui. La voce c’è, talvolta si assottiglia, talvolta scavalca o perde appena il ritmo, ma accidenti se è la sua, se è potente, rotonda, inconfondibile. Arrivano gli ospiti, come l’elegantissima Malika Ayane o Drusilla Foer (memorabile lo scambio iniziale: «Posso togliermi le scarpe», dice Drusilla, «anche le mutande», risponde fulminea Vanoni), arriva pure la perfetta Fiorella Mannoia ma l’attenzione non si sposta dalla signora che ogni tanto si siede, una volta addirittura si sdraia sul palco, parla e sorride e rimbrotta persino i musicisti che iniziano una canzone troppo presto: «E lasciatemi prendere fiato».
È una liturgia, quasi, il rito che celebra l’ultimo concerto in programma (per ora) di Ornella Vanoni, 90 anni a settembre, primo colossale successo Senza fine, una lady che è diventata un «format» perché la riconosci subito e nessuna può essere uguale. Sul palco c’è lei, scalza, e c’è la band che suona a menadito, che accompagna la prima standing ovation (introduce proprio Senza fine) e che, come tutti noi, ascolta la diva leggere Neruda (la poesia La magia di un abbraccio: «Un abbraccio è esprimere la propria esistenza») e quindi riassumere in versi la propria vita: «Io sono ancora una persona insicura, alla mia età, tra poco muoio ma sono insicura». Ornella Vanoni fa battute, scherza ma si confessa più profondamente di quanto abbia mai fatto. Anche per lei la serata alle Terme di Caracalla ha un significato particolare, mica solo per il pubblico che le riserva due, tre standing ovation e applaude la semplicemente meravigliosa Una ragione di più e poi rimane senza fiato mentre la Vanoni, che invece di fiato qui ne ha da vendere, sale sulle Dune mosse «che ha scritto Zucchero» e le trasforma in un canto notturno, malinconico, intensissimo.
Si sente la voce di Renato Zero, amico grande, che lascia un messaggio d’affetto, e dopo un po’ arriva anche Mario Lavezzi, elegante e quasi intimorito nonostante l’amicizia di mezzo secolo, e vai con Vita che è stata portata al successo da Lucio Dalla e Gianni Morandi «che poi Gianni Morandi ormai è dappertutto, accendi la tv e c’è lui», scherza la diva. Trascorrono quasi due ore che restano paradossalmente fuori dal tempo perché «questo» concerto è «il» concerto, il punto e a capo di un’altra stagione da protagonista sia in tv con Fabio Fazio che da tutte le altre parti.
Ornella Vanoni è diventata un hashtag, un traino di discussione anche sui social perché è senza filtri, dice ciò che pensa e ciò che pensa è esattamente ciò che è sempre stata: controcorrente, imprevedibile, impertinente. «Un sorriso dentro il pianto è l’ultima canzone significativa che ho inciso» dice prima di cantarla in modo pressoché impeccabile per intonazione. «Ho messo le ciglia finte che sicuramente cadranno» aveva scherzato poco prima in uno dei tanti piccoli monologhi tra una canzone e l’altra.
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