Un'ultima fiaba tra musica e magia: buon viaggio, Franchino

È morto a 71 anni Francesco Principato, in arte "Franchino": voce della notte in tutte le più famose discoteche del Nord Italia. Se ne va un pezzo di storia della musica techno-elettronica

Franchino alla consolle della discoteca Matis di Bologna. Foto Instagram
Franchino alla consolle della discoteca Matis di Bologna. Foto Instagram
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Magia. Musica e magia. Ieri, per un istante, quella musica ha smesso di suonare, le casse si sono fatte sorde e la magia si è spezzata. Franchino se ne è andato in una domenica di maggio. Che per noi milanesi degli anni Ottanta la domenica, al pomeriggio, significava soprattutto discoteca. Piccoli templi della musica commerciale, talvolta anche techno e progressive. Una schiera di giovanissimi col mito delle grandi sale, quelle della Versilia e della Romagna. Le traversate in macchina o in treno, gli after sin dopo le luci dell'alba e i rientri a casa con gli occhi piccoli come la punta di uno spilllo. "Noi, che siamo gli highlander della musica techno-elettronica, non vi deluderemo mai - aveva promesso Franchino anni fa - andremo avanti nel futuro, come voi vorrete e come voi desiderate". Oggi quel mondo lì è rimasto senza più voce. La sua voce, biascicata e sognante. Restano, per chi le ha conservate, le musicassette passate di mano in mano con le serate più belle al Seven Eleven, al Jaiss, all'Insomnia, all'Imperiale. E poi al Matrix, al Paradiso e al Cocoricò. Le notti delle streghe che diventavano notti delle fate. La Metempsicosi.

Sulla carta d'identità c'era scritto Francesco Principato. Nato nel 1953 in un paesino della provincia di Messina. Ma per tutti era semplicemente Franchino. La voce, il cantastorie. Mentre i deejay più famosi mettevano su i dischi, lui raccontava le fiabe. Il brutto anatroccolo e la principessa sul pisello, Biancaneve e Pollicino, Sampei e Dylan Dog. Facevano più o meno così: "A te che sei il più grande regalerò il mio mulino, a te che sei il mediano regalerò il mio mulo e a te che sei il più piccolo ti regalerò il mio gatto", narrava mentre davanti a lui, sotto la consolle, un'orda di teste danzanti anziché poppanti dell'asilo nido. "Ma cosa me ne faccio di un gatto? Datemi una sacca ed un paio di stivali ed io vi regalerò il mondo pieno di musica e pieno di magia". Lui, le favole, le raccontava a modo suo. A volte senza capo né coda, altre con una qualche morale finale.

La mitologia della notte lo dà in giro per il Brasile sul finire degli anni Ottanta. Un paesino tropicale dalle parti di Bahia, Arraial d’Ajuda. La figlia Luna e la voce di un gruppo blues. Le discoteche, in Italia, le aveva già frequentate negli anni Settanta mentre sbarcava il lunario tagliando i capelli. Il primo contratto al Seven Eleven di Montelupo Fiorentino. Era il 1971. Poi l'avventura oltre oceano e poi di nuovo in Italia dove, all'inzio degli anni Novanta, approda all'Imperiale e inizia a raccontare le prime favole. È in questo girovagare che nascono le collaborazioni con i più rinomati deejay. Mario Più, Cecco, Francesco Farfa, Joy Kitikonti e soprattutto il re, Ricky Le Roi. Sembra di sentirli ancora lì in consolle, all'inizio della serata, mentre suonavano I will find you. "No matter where you go, I will find you If it takes a long long time", come un mantra. "No matter where you go I will find you If it takes a thousand years". Dal Belpase all'isola del divertimento per antonomasia: Ibizia. Il Pacha, il Ku e l'Amnesia. E poi le produzioni. Una su tutte: 999. Ma, ancora una volta, le sue favole. Perché Franchino era (e lo è ancora) le sue fiabe.

Oggi, che il secolo è cambiato, non resta quasi più nulla di quel mondo.

Le discoteche, che tra gli anni Ottanta e Novanta accoglievano migliaia di giovani ogni notte, sono acropoli diroccate, locali svuotati e abbandonati. Lì, i dee jay non suonano più la techno-elettronica. Lì, la voce di Franchino non racconta più le favole. Lì, non c'è più magia.

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