«C'erano una volta 31 piccoli autobus elettrici e ibridi, chiamati Pollicini. Instancabili, percorrevano ogni giorno gli angusti vicoli del Rione Sanità, di Forcella e dei Quartieri Spagnoli. Agili e silenziosi, riuscivano a sgusciare dappertutto, senza nemmeno inquinare. Fino al brutto giorno in cui...».
Senza la presunzione di essere Charles Perrault o uno dei fratelli Grimm, questa favola potremmo farla cominciare così, con l'immancabile incipit di ogni favola che si rispetti. Ma siccome questa si svolge a Napoli, dove a volte succedono cose che altrove nemmeno si possono immaginare, con la conseguenza che poi tutto si stravolge, al nostro racconto mancherà invece il tradizionale lieto fine. I Pollicini, per esempio, 21 dei quali erano ad alimentazione ibrida, hanno già fatto una brutta fine. Hanno perso definitivamente la loro strada, nel senso che da otto mesi sono fermi a impolverarsi nei depositi di piazza Carlo III della Anm, la società municipale dei trasporti. Privi di vita, perché rimasti senza le indispensabili batterie che li facevano muovere, sono destinati a subire una sorte ancor peggiore. Verranno demoliti, fatti a pezzi, nonostante per il loro acquisto, tra il 1997 e il 2001, fossero stati spesi in media 250mila euro ciascuno, per un esborso complessivo di 8 milioni di euro.
Che cosa è andato storto? Dopo un entusiasmante e promettente avvio nel dedalo dei vicoli, con turni di 16 ore ininterrotte su è giù per salite e discese, i loro «cuori» elettrici hanno iniziato a perdere colpi. Batterie usurate, insomma. Pare che a questo punto - stando almeno all'accusa lanciata dagli operai della Tecnobus, una ditta esterna che ne curava la manutenzione - la municipalizzata avesse comprato altre batterie. «Non originali e più scadenti e questo ne ha dimezzati i tempi di funzionalità», la racconta così Mario Marigliano, uno degli otto dipendenti della Tecnobus che dal 28 febbraio scorso sono rimasti senza lavoro.
«L'Anm non ha rinnovato alla nostra azienda il servizio full service dicendo che avrebbe potuto provvedere autonomamente alla manutenzione - è la spiegazione di Marigliano -. Noi abbiamo lasciato tutti i veicoli in pienissima efficienza, revisionati dalla Motorizzazione. Eppure dopo una settimana non sono più partiti e adesso ci sono otto famiglie in mezzo alla strada. L'Anm avrebbe potuto assumerci direttamente, in modo che avremmo potuto continuare ad assicurare il servizio. Invece niente».
All'Anm, com'era logico attendersi, suonano un'altra campana. Il direttore operativo dell'azienda, l'ingegner Fabrizio Cicala, sostiene che era impossibile prolungare la vita di quei mezzi «che ora sono vecchi e non funzionano più bene. La loro tecnologia, poi, adesso è obsoleta. Certo, in altre città come Milano e Firenze gli stessi mezzi hanno avuto una durata maggiore, ma a Napoli si sono usurati prima proprio a causa della conformazione della città, delle tante salite e discese. Per questo la manutenzione ci veniva a costare troppo». Con l'inevitabile corollario che ora il Comune è più che in animo - pare si sia già alla stesura dell'appalto - di acquistare nuovi mezzi. Stando a quanto spiega Cicala, non si tratterà più di minibus mossi dall'energia elettrica, ma con alimentazione diesel e tecnologia pulita Euro cinque. «Sono più economici e anche meno inquinanti di quelli ibridi e hanno costi di manutenzione molto più bassi», si sbilancia l'ingegnere.
Di cifre più precise, di una previsione di spesa complessiva per le casse comunali pare sia ancora troppo presto per parlarne. Si può soltanto sperare. Per esempio di non dover scrivere tra qualche anno una nuova brutta favola napoletana: «C'era una volta l'ennesimo spreco...»
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