Arrestato a Dubai pericoloso narcotrafficante: deve scontare 20 anni di carcere

I carabinieri di Napoli sono riusciti a bloccarlo, scoprendo che con sé aveva un documento falso

L'aeroporto di Dubai
L'aeroporto di Dubai

Lo hanno arrestato nell’aeroporto internazionale di Dubai, dove si era reso latitante, il broker della droga Bruno Carbone, che deve scontare 20 anni di carcere per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. I carabinieri di Napoli sono riusciti a bloccarlo, scoprendo che con sé aveva un documento falso. Il malvivente è accusato di essere organico alla criminalità organizzata, attraverso contatti diretti con i narcotrafficanti di nazioni come Olanda e Colombia.

Più di un anno fa i militari, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia, sequestrarono a Carbone circa 240mila euro in contanti: erano nascosti nella tavernetta di una villa di Lago Patria, a Giugliano in Campania, nel Napoletano. A Dubai si sarebbe rifugiato anche il broker internazionale Raffaele Imperiale, che nell'ottobre del 2018 è stato condannato in secondo grado a 8 anni e 4 mesi di carcere, tra i più importanti narcos della camorra, attraverso i legami con il clan Amato-Pagano.

Qualche mese fa, i carabinieri catturarono sei persone accusate di aver favorito la latitanza del boss Antonio Orlando, arrestato il 27 novembre del 2018 dopo 15 anni di clandestinità. I militari dell’Arma del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna, a Marano di Napoli, Voghera, Tolmezzo e L’Aquila, diedero esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della Procura partenopea nei confronti dei sei indagati. Associazione di tipo mafioso e favoreggiamento personale, aggravati dalle finalità mafiose furono i reati che, a vario titolo, gli vennero contestati. Ad uno di loro fu addebita anche l’inosservanza delle prescrizioni imposte dalla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno.

Destinatario della misura detentiva fu anche Antonio Orlando, detto “Mazzolino”, ritenuto a capo dell’omonimo clan operante a Marano di Napoli e nei Comuni limitrofi. Orlando, detenuto dalla sua cattura, venne ritenuto responsabile dei reati di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri e possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi, aggravati dalle finalità mafiose.

L’indagine, condotta dal Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna e coordinata dal pm Maria Di Mauro della Dda di Napoli e dal procuratore aggiunto dell’Antimafia, Giuseppe Borrelli, consentì di individuare i soggetti che, sulla base delle risultanza investigative, hanno favorito la latitanza del boss e di disvelare l’assetto

organizzativo del clan “Orlando”. Una vera e propria rete era stata costituita per permettere al capoclan di continuare a vivere in clandestinità, una rete che gli ha permesso di restare all’ombra per ben 15 anni.

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