Salvaguardare la lingua italiana in Costituzione. L'appello dei Comuni campani

L’iniziativa è del docente universitario di Filosofia del diritto Giuseppe Limone che fa l’esempio della Carta costituzionale francese

Il filosofo Giuseppe Limone
Il filosofo Giuseppe Limone

L’appello è stato lanciato lo scorso anno, in occasione del settecentesimo anniversario della morte di Dante, ed è arrivato dal Sud, più precisamente dalla Campania. La richiesta, rivolta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al Parlamento, prevede che venga inserita con urgenza nella Carta costituzionale la salvaguardia della lingua italiana. A raccogliere le firme e le adesioni di cittadini e istituzioni è il docente universitario Giuseppe Limone, professore ordinario di Filosofia della politica e del diritto del Dipartimento di Giurisprudenza della Seconda università di Napoli. A distanza di pochi mesi, sono già diversi i Comuni campani che hanno votato all’unanimità in consiglio comunale la delibera proposta dal filosofo Limone. Orta di Atella, Succivo e Sant’Arpino, in provincia di Caserta; Frattaminore e Bacoli in provincia di Napoli hanno già votato, mentre sono pronti a farlo città come Frattamaggiore, Grumo Nevano e Pozzuoli.

“Siamo inondati da anglicismi assolutamente inutili – dice il docente universitario – se non dannosi. Conoscere le altre lingue del mondo è importante, ma ciò non significa sostituirle alla propria. Una lingua, contrariamente a ciò che volgarmente si pensa, non è semplicemente lo strumento con cui etichettare gli oggetti, ma è il modo di incarnare la propria visione del mondo e di viverne gli affetti. La lingua siamo noi”. Il professor Limone sta portando avanti la petizione con grande forza, in un momento in cui, seppure per gioco, la lingua italiana subisce attacchi e mortificazioni. Basti pensare all’utilizzo del “corsivo parlato” dell’influencer di turno che tanto sta facendo discutere gli internauti.

“Difendere la lingua italiana – continua Limone – potrebbe sembrare ornamentale, in questo momento in cui più gravi problemi devastano la vita del Paese, come la pandemia, la crisi economica, il dissesto economico, la disoccupazione e la depressione (in tutti i sensi). Eppure difendere – anzi salvaguardare – la lingua italiana non è atto inutile. Che lo faccia una Costituzione non significa imporlo per legge, ma dare un’indicazione di valore. La Carta costituzionale francese, per esempio, lo fa e ciò si dica a prescindere dagli strumenti esecutivi che dà a questa indicazione”. Il docente universitario lamenta anche l’attività, ormai consolidata, svolta dalle università.

“Fin dai primi livelli di studio – spiega Limone – sono istituiti corsi da svolgere esclusivamente in lingua inglese. Potrebbe capitare che a un professore di Letteratura italiana sia chiesto di insegnare a studenti (solo) italiani contenuti didattici e scientifici in lingua inglese. Ciò significa espropriarci non solo della lingua, ma del nostro modo di sentire e concepire la realtà. La lingua non è solo un modo per mettere le etichette agli oggetti in una cristalleria. La cosa è oltremodo pericolosa, perfino devastante. Nulla da dire per eventuali corsi di affiancamento in lingua straniera, tutto da recriminare – invece – su corsi universitari che fin dai primi anni sostituiscano la lingua italiana”.

Il filosofo del diritto conclude: “Nessuno riuscirà mai a spiegarci perché dovremmo dire location e non sede, fake news e non notizie false, breathing e non appuntamento, e così via.

Il fenomeno, però, non riguarda soltanto l’uso quotidiano che è pur sempre libero di esprimersi come vuole, ma le leggi e i decreti della Repubblica, che sono ormai zeppi di inutili termini stranieri”.

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