Napolitano e la sindrome del frenatore

Il presidente conosce la legge. Il presidente ascolta, dice, precisa, prevede, custodisce, sentenzia. Napolitano quando parla di solito va interpretato e ognuno si attacca alle sue parole per tirarlo di qua e di là. Questa volta no. Questa volta oggettivamente quel richiamo al binario morto del ddl intercettazioni ha il suono di una brusca frenata. È l’opinione del presidente e nessuno qui vuole metterla in discussione, ma il dubbio rimane. Il Quirinale è il custode della Costituzione, la madre di tutte le norme. Su questo niente da dire. Solo che le leggi le fa il Parlamento. Non il presidente e neppure la Corte Costituzionale. A loro tocca controllare. Devono dire se la legge va contro la Carta. Arrivano dopo. Non prima. Non si fanno i processi alle intenzioni.

Qui, invece, si fa un po’ di confusione nei ruoli. Il presidente diventa l’oracolo che scende dal Colle e detta quello che si può o non si può fare. E questo presidente troppo spesso è chiamato in causa come deus ex machina, come se il governo avesse bisogno di un tutore, di una badante, o di un commissario politico. Magari non è colpa di Napolitano. O forse sì. I numeri per approvare il processo breve comunque dovrebbero esserci. Il problema per il Quirinale è che non si accontenta di una maggioranza qualsiasi, non gli basta contare i voti, li vuole pesare. Napolitano vuole i voti di Fini. È con lui che sta giocando di sponda. È con lui che la legge diventa legittima. Insomma il processo breve si fa se Berlusconi torna a stringere la mano a Fini.

Una maggioranza risicata darebbe l’opportunità al Colle di rinviare la legge alle Camere senza troppi problemi politici, rischiando di farla finire sul binario morto.
Non è questo il momento per restare intrappolati nella sindrome del capostazione e dei binari morti.

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