Navigare con ironia in un mare di guai

«Bastardo Numero Uno» di Janet Evanovich è il primo volume della saga di Stephanie Plum, l’investigatrice maldestra e timidamente sexy con un fiuto infallibile per le disavventure

La prima volta che sentii parlare di Janet Evanovich fu un paio di anni fa, nel corso di un tour promozionale di Jeffery Deaver. Il maestro del thriller americano e la sua fidanzata se la ridevano di gusto sul sedile posteriore dell’automobile che ci stava portando da un evento letterario a quello successivo. Se si fosse trattato di una risata isolata, l’avrei bollata come un simpatico scambio di battute di una coppia affiatata. Il fatto è che quei due seguitarono a ridere per un paio d’ore e, dunque, non potei fare a meno di domandare da dove venisse tutto quello spasso. I due stavano ascoltando l’audio book di un romanzo della scrittrice americana dal nome slavo.
Col suo solito fare sornione, Deaver disse che l’attrice - non la scrittrice - era molto brava. Di diverso avviso mi parve la sua fidanzata, una fan sfegatata della Evanovich. Un mesetto più tardi mi ritrovai a visitare una grossa libreria nei dintorni di Chicago e scoprii che la Evanovich era una delle scrittrici più lette d’America. Interi scaffali di catene come Borders o Barnes & Noble erano zeppi dei suoi libri. E poi i numeri parlano chiaro: poco meno di cinquanta milioni di copie vendute nel mondo, anche se in buona parte negli Usa.
Devo ammettere che qualcosa già sapevo, visto che anche la mia fidanzata americana era una sua fedelissima lettrice. E poi già in passato un’altra casa editrice aveva tentato di fare il colpaccio in Italia, senza peraltro avere grande fortuna. Infatti, sono in molti a pensare che l’ironia tutta americana della Evanovich sia molto difficile, se non impossibile, da rendere nella nostra lingua. Oggi, però, a ritentare la sorte è Salani Editore, con Bastardo Numero Uno (Salani, pagg 328, euro 16,80), che ha per lo meno avuto la saggezza di partire dal primo volume della saga di Stephanie Plum, a differenza di quanto successo in passato. Sembra, infatti, che siano proprio la continuità della sua serie e l’affezione del pubblico per i suoi personaggi ad averne decretato il successo.
Ma cos’ha di tanto intrigante questa Evanovich?
Tanto per cominciare, un personaggio anomalo in cui si identificano molti lettori. Soprattutto, molte lettrici. Stephanie Plum, investigatrice per necessità e non per diletto, è una sorta di Bridget Jones della detection, un impacciato «occhio privato» con un fiuto infallibile per i guai. Al verde e scaricata da ex-fidanzati e amici, per sbarcare il lunario decide di lavorare per un’agenzia di cauzioni. Un lavoro inadatto a una ragazza. Un lavoro che le procura un mare di disavventure.
Donna, investigatrice, maldestra, timidamente sexy e non particolarmente bella ma nemmeno «racchia», questa Stephanie. Ingredienti che l’avvicinano al grande pubblico. La Evanovich prende gli stereotipi del genere e li smitizza. Prende altri stereotipi, per esempio quello dell’italoamericano fustacchione e sciupafemmine, e riesce comunque a non banalizzarli. La semplicità è forse la sua dote migliore.

I suoi libri si leggono tutto d’un fiato e le scene esilaranti non mancano, anche se lo slang abbonda e, inevitabilmente, molte sfumature si perdono in una traduzione comunque buona.
«Non mi sentivo affatto una professionista. Mi sentivo un’idiota», è la riflessione di Stephanie Plum, anti-eroina per eccellenza. A quanti non è capitato almeno una volta di condividere la stessa frustrazione?

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