C'è anche un razzismo del vittimismo

I progressisti che ci propinano la storia del migrante misero e innocente, disagiato e infelice per colpa nostra, vittima di razzismo, di violenza, di fascismo, cosa avrebbero fatto se si fossero trovati davanti questo individuo? E se avessero ricevuto le sue coltellate? E se fossero stati fatti a fette da quest’uomo?

C'è anche un razzismo del vittimismo
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Caro Feltri,

il maliano ucciso alla stazione di Verona da un agente della polizia ferroviaria il 20 ottobre scorso, a quanto pare, come si evince dai filmati delle telecamere di sorveglianza, stava per colpire il poliziotto con il coltello. Poliziotto che era a un metro da lui quando l'immigrato è stato colpito al petto dal proiettile che ne

ha causato la morte. Si sa anche che l'uomo aveva nello zaino un'altra lama. Ma la sinistra da giorni non fa che celebrare Moussa Diarra come fosse un martire. I progressisti continueranno a sostenere la tesi del povero immigrato innocente che ha trovato in Italia razzismo, crudeltà e morte o finalmente ammetteranno che questo tizio era pericoloso

e che l'azione del poliziotto si è resa necessaria?

Carmine Franco

Caro Carmine, ebbene sì, quanto emerge prendendo accurata visione delle registrazioni delle telecamere di sorveglianza corrisponde perfettamente alla nostra ricostruzione dei fatti e alle nostre razionali e logiche ipotesi: Diarra aveva qualche ora prima, ossia durante la notte e ancora all’alba, aggredito e minacciato con il coltello agenti della polizia municipale e spaccato vetrine, azioni che configurano una condotta criminale e un comportamento assolutamente pericoloso per chiunque si fosse imbattuto in questo soggetto incontrollabile. L’agente che lo ha ucciso ha prima sparato due colpi di avvertimento e, quando ormai Diarra era a un passo da lui e anche meno, il poliziotto è stato costretto a colpirlo al petto, colpo mortale. Il fatto che il maliano avesse conservato nello zaino un altro coltellaccio da cucina indica una intenzione incontrovertibilmente volta a compiere del male, a ferire, ad uccidere. I progressisti che ci propinano la storia del migrante misero e innocente, disagiato e infelice per colpa nostra, vittima di razzismo, di violenza, di fascismo, cosa avrebbero fatto se si fossero trovati davanti questo individuo? E se avessero ricevuto le sue coltellate? E se fossero stati fatti a fette da quest’uomo? O se un loro familiare, un figlio, una moglie, un marito, un congiunto qualsiasi, fosse stato massacrato da Diarra, sfuggito già alle forze di polizia, questi avvocati del diavolo si sarebbero ancora stracciati le vesti in difesa del delinquente o forse avrebbero lamentato il mancato intervento dello Stato? Purtroppo funziona così: se una persona se ne va in giro con il coltello in mano e si lancia contro la gente, è facile che possa accadere, se la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza è efficace, che venga fatta fuori dalle nostre forze di polizia. Che piaccia o meno, questo è un successo dello Stato. Sarebbe stato un insuccesso se quell’uomo avesse conficcato la lama nelle carni dell’agente o di un passante, magari ammazzandolo o riducendolo in fin di vita, come è accaduto a Milano qualche mese addietro. Non si erano mai visti cortei e manifestazioni in difesa di un delinquente elevato al ruolo di martire dello Stato, del governo, degli italiani, di Salvini, di Meloni, peraltro con tanto di cartelli insultanti nei confronti della polizia, cartelli con i quali i nostri agenti vengono definiti «assassini». Ed è vergognoso che questo sia accaduto con il sostegno della sinistra nonché di uomini e donne che stanno dentro le istituzioni e che dovrebbero stare quindi dalla parte della legalità e non dalla parte di chi, con la scusa di essere «disagiato», impugna il coltello e semina il terrore.

Il colore della pelle, la provenienza, la condizione economica e sociale non giustificano in nessun modo la violenza. Eppure noi ormai giudichiamo i reati con clemenza se vengono commessi dai neri e con intransigenza se vengono compiuti dai bianchi. Caro Carmine, questo al mio paese si chiama «razzismo», razzismo bello e buono.

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