L'ultimo giallo di via Fani, un foro nella targa di un'auto. La foto esclusiva

Repertato ma ignorato: si riapre il caso degli spari da destra per il rapimento del presidente della Dc nel marzo '78

Panoramica dall'alto durante i rilievi tecnici sulla scena dell'agguato in via Fani
Panoramica dall'alto durante i rilievi tecnici sulla scena dell'agguato in via Fani

A 45 anni di distanza, la strage di via Fani, avvenuta il 16 marzo 1978, in cui furono sterminati i cinque uomini della scorta e rapito il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, ha ancora molti punti oscuri. Nonostante sei processi e un’indagine ancora in corso presso la procura di Roma, non sono chiari molti aspetti della vicenda, a cominciare dal numero dei componenti del commando che agì quella tragica mattina. Tra i dettagli rimasti oscuri a lungo, e che potrebbe cambiare la ricostruzione fino a qui data per ufficiale sul numero di sparatori presenti quel giorno, c'è il foro di un proiettile nella targa di un'auto parcheggiata non lontano dal luogo del rapimento. E che il Giornale.it è in grado di mostrare con una foto esclusiva:

Foro via Fani

In via Fani, secondo le sentenze definitive, le perizie e secondo il memoriale del brigatista Valerio Morucci avrebbero fatto fuoco soltanto quattro uomini: lo stesso Morucci, fornito di un FNA43 cal. 9 parabellum; Raffaele Fiore, che impugnava un MP12 cal. 9 parabellum; Prospero Gallinari, munito di un TZ45 cal. 9 parabellum; Franco Bonisoli, munito di un altro FNA43 cal. 9 parabellum o di un’arma similare. Gallinari e Bonisoli disponevano poi di un’arma corta (rispettivamente di una Smith & Wesson cal. 9 parabellum e una Beretta 51 calibro cal. 7.65) e i quattro brigatisti, travestiti da avieri, avevano il compito di attaccare le due auto, posizionati sul lato sinistro e spuntati da dietro le piante ornamentali del bar Olivetti, che si trovava proprio all’incrocio di via Fani.

Pur essendo negli anni emerse evidenze di molti bossoli rinvenuti in posizioni incongrue rispetto alla versione ufficiale, i brigatisti hanno sempre negato la presenza di altri sparatori. Una versione smentita, però, dalla relazione approvata dalla Commissione Antimafia del settembre 2022, elaborata da un gruppo di lavoro presieduto dall’on. Stefania Ascari e con il contributo del consulente Guido Salvini, il magistrato più competente ed esperto in tema di eversione. Nel documento, infatti, è spiegato chiaramente come sia inverosimile che, una volta inceppatosi il suo mitra, Bonisoli si sarebbe spostato più in su a destra e in diagonale, facendo poi un salto all’indietro per retrocedere sino al marciapiede e nascondersi dietro un’auto, una Mini Cooper verde parcheggiata su quello stesso lato sinistro, per poi ridiscendere verso l’Alfetta di scorta aggirandola e continuare a sparare con la 7.65 spostandosi lungo il lato destro di via Fani, opposto al bar Olivetti.

Ma perché i brigatisti sostengono una tesi così inverosimile? Per ‘coprire’, è anche la conclusione della relazione della Commissione Antimafia, gli spari provenienti da dietro quella Mini Cooper verde. Che sono, invece, oggettivi. E la prova, che Il Giornale.it può svelare in anteprima, è non solo la testimonianza riattualizzata dalla Commissione Antimafia di una ineccepibile testimone oculare di quel tempo (Cristina Damiani) ma anche un foro di proiettile sulla targa di quella stessa Mini Cooper verde targata Roma T32330.

L’auto, di proprietà di Tullio Moscardi, residente in via Fani 109 ed ex appartenente alla X-Mas del principe Borghese, al momento dell’agguato era in sosta una decina-quindicina di metri più in su rispetto all’Alfetta bianca di scorta. Pur repertato, come dimostra la foto che Il Giornale.it pubblica in anteprima, il foro sulla targa della Mini Cooper all’altezza dello 0, è stato ignorato, e messo in evidenza dopo oltre 40 anni in una memoria dall’avvocato Nicola Brigida, difensore di Giovanni e Paolo Ricci, figli di Domenico, l’appuntato dei Carabinieri che era l’autista di Aldo Moro, ucciso proprio in via Fani.

Ma perché è importante il particolare del foro nella targa? Perché dimostra con ogni evidenza, nonostante i brigatisti dicano il contrario, che c’era almeno un altro misterioso killer accucciato dietro quella macchina contro cui il valoroso agente Iozzino sceso dall’Alfetta ha tirato almeno uno dei due colpi dalla sua Beretta 92-S anziché sparare ai quattro assalitori dinanzi a sé.

Ascoltata nell’immediatezza dei fatti, il 26 marzo 1978 e poi ancora il successivo 17 maggio 1978, Cristina Damiani, testimone molto attendibile all'epoca giovane studentessa poi divenuta architetto e quindi molto attenta agli spazi e alla dinamica delle scene, racconta che mentre stava percorrendo a piedi via Fani verso via Trionfale aveva sentito “distintamente” alle sue spalle “una leggera frenata seguita da un rumore come di tamponamento e quindi un colpo isolato di arma da fuoco”. Istintivamente si era abbassata ed in quel momento aveva inteso “una raffica di colpi di tonalità diversa a cui si sovrapposero altre raffiche ripetute”. Dal suo punto di osservazione, era stata in grado di distinguere “una canna di arma da fuoco lunga circa 30 centimetri spuntare da dietro una vettura parcheggiata davanti al bar Olivetti”: e l’unica macchina ad essere posizionata in quel punto è solo la Mini Cooper verde di Moscardi.

Non solo: la Damiani aggiunge che la canna spuntava da un’altezza leggermente superiore a quella della metà della vettura (dunque, lo sparatore era accucciato) e che da essa, in direzione delle auto ferme (l’Alfetta e la 130), uscivano delle vampate di fuoco. Successivamente aveva poi visto cadere esanime l’agente Raffaele Iozzino, membro della scorta di Moro, che viaggiava sull’Alfetta.

Un ricordo nitido, quello della Damiani, ribadito anche ad oltre 40 anni di distanza, l’11 maggio 2022. Nella testimonianza alla Commissione Antimafia, che Il Giornale.it presenta qui in anteprima, la donna ha ribadito che, appena sentito il rumore degli spari, si era riparata dietro una vettura in sosta sul lato destro di via Fani ed attraverso i vetri, aveva visto nitidamente spuntare da una utilitaria, non può che essere proprio la Mini Cooper verde, parcheggiata sul lato opposto, una canna di mitra piuttosto corta da cui uscivano le vampate. La canna, racconta ancora la Damiani, si trovava a metà altezza tra il cofano e il tettuccio. Dalla posizione dell’arma, si deduce che almeno uno sparatore si trovava accucciato proprio dietro la vettura. Nella testimonianza del 2022 la Damiani precisa di non essere riuscita a vedere il corpo o la fisionomia di chi imbracciava l’arma, ma ribadisce di aver avuto la netta sensazione che proprio da quella canna dietro l’auto in sosta fossero partiti i colpi fatali che hanno ucciso l’agente Iozzino, che infatti la Damiani vede scendere dal sedile posteriore dell’Alfetta di scorta.

A via Fani, dunque, c’erano anche altri spari, più in su e a destra rispetto ai quattro bierre posizionati di fronte alla 130 e all’Alfetta. E infatti, contraddicendo ancora una volta i brigatisti, la Damiani nella sua testimonianza alla Commissione Antimafia, esclude con certezza che colui che aveva sparato dietro la vettura in sosta avesse attraversato la strada per unirsi alle altre persone che si trovavano intorno alle vetture ferme più in basso. Lo sparatore sconosciuto si era quindi “dileguato autonomamente” rispetto agli altri aggressori che si trovavano nella parte più bassa di via Fani. Aggressori che, dice la donna, erano non meno di sei e non tutti vestiti da avieri. Un’altra menzogna smascherata di una storia che resta oscura anche a 45 anni di distanza.

Del resto, come già anticipato ad agosto dal IlGiornale.

it, è stato proprio Mario Moretti, presente in via Fani ma, secondo la versione dei brigatisti, solo al volante della Fiat 128 che sbarrò la strada all'auto a bordo della quale viaggiava Moro, come testimoniato dal brigatista pentito Michele Galati nell’82 al giudice Priore, in occasione della pianificazione di una rapina nel novembre ‘79 a Venezia, a dire: “Anche a Via Fani uno ci era scappato (cioè Iozzino), ma quelli di riserva lo hanno steso”.

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