Rientrata da meno di 24 ore a Milano, Cecilia Sala è stata già ospite del podcast di Mario Calabresi dal titolo "I miei giorni a Evin, tra interrogatori e isolamento". La giornalista ha potuto riabbracciare ieri all'aeroporto di Roma Ciampino, accolta dal presidente del Consiglio, dal ministro degli Esteri e dal sindaco di Roma, tutta la sua famiglia e deve probabilmente ancora realizzare quanto accaduto nei 20 giorni di prigionia nel carcere nei pressi di Teheran. È stata arrestata nel suo albergo in Iran lo scorso 19 dicembre ed è rimasta reclusa per 19 giorni, fino a ieri, quando è stata imbarcata su un volo di Stato e riportata a Roma.
"Sono confusa e felicissima, mi devo riabituare, devo riposare, questa notte non ho dormito per l'eccitazione e per la gioia. Quella precedente per l'angoscia. Sto bene, sono molto contenta", ha detto nel corso dell'intervista. "Non mi è stato spiegato perché io sia finita in una cella di isolamento nel carcere di Evin. Questa storia comincia col fatto che l'Iran è il Paese nel quale più volevo tornare, dove ci sono le persone a cui più mi sono affezionata", ha spiegato, rivelando anche quale fosse l'intento di quel viaggio che a molti non giornalisti non è sembrato opportuno in questo momento. "Si cerca di avere uno scudo perché si incontrano persone che soffrono, uno scudo da sofferenza degli altri e qualche volte le persone che intervisti che incontri bucano lo scudo e hai bisogno di sapere come stanno. Ci tenevo a tornare da loro. Questo viaggio inizia per incontrarli e per dare loro voce", ha detto nel corso dell'intervista.
Ha trascorso la maggior parte del tempo della sua reclusione in una cella di isolamento, senza occhiali "perché sono pericolosi, si possono rompere i vetri per ferirsi", così come le penne, che non ha avuto e quindi non ha potuto scrivere. "A un certo punto mi sono ritrovata, ad esempio, a passare il tempo, a contare i giorni, a contare le dita, a leggere gli ingredienti del pane che erano l'unica cosa in inglese", ha continuato nel suo racconto, che per ovvi motivi non entra mai nei dettagli della reclusione ma si concentra sulle sue emozioni e sulle sue sensazioni durante la recusione. "La cosa che più volevo era un libro. Era la storia di un altro, qualcosa che mi portasse fuori.
Un'altra storia in cui mi potessi immergere e che non fosse la mia in quel momento", ha proseguito, rivelando di aver chiesto il Corano in una versione inglese, "pensando potesse essere il libro facile da ottenere in una prigione della Repubblica islamica".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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