La lezione di Berlusconi ai professionisti dell'odio

La sinistra continua a sputare fango sul Cav. Ma Berlusconi non la odiò mai

La lezione di Berlusconi ai professionisti dell'odio
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Di fronte alla morte di un uomo, di qualsiasi uomo, si dovrebbe provare un solo sentimento: la pietà. Non facile, sia chiaro, per noi che ci portiamo una macchia nell'animo (i cattolici parlano di peccato originale) che ci fa fare il male che odiamo e ci allontana dal bene a cui aspiriamo. Eppure, dovrebbe essere così. Perfino di fronte alla morte di un avversario, perfino di fronte alla morte di un nemico, si dovrebbe provare compassione. Si dovrebbe avere la lucidità di dire che, ora che il nemico è sconfitto (ammesso e non concesso che in questo caso si possa parlare di nemico), è arrivato il momento di seppellire l'ascia di guerra.

Silvio Berlusconi di avversari ne ha avuti molti, soprattutto da quando decise di scendere in campo contro "la gioiosa macchina da guerra" di Achille Occhetto. La storia è nota. Mise in piedi in quattro e quattr'otto un partito, Forza Italia, che sbaragliò la concorrenza. A partire da quel momento, le inchieste giudiziare cominciarono a piovere sulla testa del Cavaliere. I suoi avversari lo vedevano come il male assoluto, sempre e comunque. Era, per la sinistra, il drappo rosso che volteggiava di fronte ai tori. Eppure Berlusconi rispose sempre con l'ironia e l'affabilità. E non scriviamo questo per incensare un uomo defunto. Ma perché il Cav è stato questo e pure i suoi avversari lo hanno ammesso. Prendiamo per esempio un estratto dell'ultimo libro di Antonio Padellaro, pubblicato in anteprima su Dagospia. Per anni parla male, anzi malissimo, di Berlusconi. Una sera, Melania Rizzoli lo invita a cena insieme a Francesca Pascale ed ecco che, all'improvviso, arriva lui insieme alle immancabili cravatte di Marinella: "Lui, il Cavaliere non era previsto ma penso si stesse rompendo le palle solo con Dudù a palazzo Grazioli che alle 21 in punto lo vedo venirmi incontro contento come una Pasqua come fossimo vecchi amiconi". Prosegue il racconto di Padellaro: "Per tutta la serata io e lui ci scrutiamo: tu non oltrepassare il limite e io non oltrepasso il mio. Difficile che in passato gli sia capitato di trascorrere del tempo chiuso in una stanza con qualcuno che per anni lo ha descritto come il male assoluto, un demone che comprando e corrompendo da un ventennio è diventato padrone di altre vite (delle nostre vite). Me lo potrebbe rinfacciare ma non lo fa e io evito perfino qualsiasi velata allusione. Niente di personale, è la regola non scritta".

Perché Berlusconi era così. Quando incontra Marco Travaglio, nel celebre incontro/scontro da Michele Santoro, dopo aver letto il documento preparatogli, ecco che il Cav comincia ad andare a braccio ed è lì che dà il meglio di sé. È un crescendo rossiniano che si conclude con la celebre spolverata alla sedia. Un gesto quasi alla Pierino che, però, fa sorridere tutti (e che fa guadagnare parecchi punti alla coalizione di centrodestra). E ancora: quanti sono i video che circolano in rete in cui, di fronte alla sinistra che gli chiede di andare a casa, Berlusconi risponde: "Mi crea un po' di imbarazzo, perché disponendo di diverse case non saprei in quale andare". Non si arrabbia. Ci scherza su. Che poi è il miglior modo per vivere sereni (e anche far impazzire gli avversari).

"L'amore vince sempre sull'invidia e sull'odio", diceva Berlusconi sentendosi un po' Virgilio. Non sempre è così. Di certo lo è stato nel suo caso. Andarsene senza odiare nessuno non è facile ma il Cav ci è riuscito. Con buona pace degli odiatori di professione.

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