
Nei pizzini di Messina Denaro era chiamato “Solimano”, come il “Magnifico” sultano dell’impero ottomano del XVI secolo. Ma Antonio Messina, “l’Avvocato”, 79enne massone “in sonno” con importanti precedenti, più che sultano sarebbe stato il tesoriere di “U siccu”.
All’alba di ieri il Ros gli ha notificato l’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari emessa dal Tribunale di Palermo su richiesta della Dda del capoluogo siciliano. L’accusa: aver gestito i proventi delle attività economiche della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, garantendo al boss ora defunto il sostentamento economico nel corso della sua lunga latitanza. Messina, inoltre, avrebbe intessuto e mantenuto rapporti con esponenti mafiosi del Trapanese. E proprio a Trapani – oltre che a Bologna – ieri in tarda mattinata erano ancora in corso perquisizioni.
L’arresto di “Solimano” è l’ennesima tessera del mosaico il cui disegno aveva permesso a Messina Denaro di restare per tre decenni in latitanza: a incastrare l’uomo, e a identificare quel nickname altisonante utilizzato nei pizzini tra il boss e Laura Bonafede, la maestra-amante di Diabolik, è stata proprio la donna. Ammettendo candidamente chi si nascondesse dietro quello pseudonimo nelle dichiarazioni spontanee rese al processo, davanti al giudice, a novembre scorso, che poi l’ha vista condannata: lo zio di suo marito, Antonio Messina.
Messina, secondo quando ricostruito dall’accusa, sarebbe stato sponsorizzato come mafioso dal boss corleonese Leoluca Bagarella, e “Don Luchino” ne avrebbe caldeggiato l’affiliazione proprio con Messina Denaro, sollecitandone “una collocazione in seno a cosa nostra adeguata alle sue capacità”. Capacità che l’avvocato Messina, in passato già latitante e condannato per concorso esterno a cosa nostra e narcotraffico, avrebbe dimostrato in breve tempo. Intessendo contatti con esponenti criminali non solo a livello locale, “finalizzati – scrive il Ros – a concludere lucrosissime operazioni imprenditoriali”, tra cui la gestione degli incassi di un importante oleificio, ristrutturazioni legate al superbonus 110%, commercio di carburanti, speculazioni immobiliari sulle aste o sui beni confiscati alla mafia e, addirittura, attività di smaltimento rifiuti urbani svolte oltreoceano, in Brasile. Con gli incassi l’uomo, che era zio del marito della Bonafede, avrebbe secondo gli investigatori permesso appunto il mantenimento in latitanza di Messina Denaro. Eppure, Diabolik e la sua amante nei loro pizzini non erano teneri nel giudizio verso l’avvocato. “In passaggi «ad altissima densità mafiosa» gli riservavano aspre critiche”, annota il Ros,
Il riferimento tra l’altro è a una conversazione nella quale la donna riferiva che quel “Solimano di merda” li “avrebbe distrutti”, riferendosi a se stessa e al boss. Ma al processo, la donna su Antonio Messina si limita a dire che avrebbe irritato Messina Denaro perché spacciandosi per amico del boss cercava di ricavarne piccoli vantaggi.
Per gli inquirenti, il giro era però un altro, ben più lucroso, tanto che il Ros ricorda come Attilio Fogazza (il braccio destro di Mimmo Scimonelli, ex imprenditore vitivinicolo che gli inquirenti ritengono il “postino” dei pizzini di Messina Denaro oltre che un suo “bancomat”) avrebbe definito Solimano “un mafioso di rango”. E dunque resterebbe da chiarire il motivo dell’astio che il boss e la donna nutrivano nei suoi confronti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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