La città è Pescara. I nomi delle due protagoniste di questa storia li teniamo segreti, per motivi evidenti di privacy di una delle due. Le protagoniste delle quali parliamo sono una professoressa di 53 anni e una studentessa di 14. Alla professoressa piace molto la studentessa. Le parla, le sorride, ammicca, sottintende. Poi inizia a mandarle dei messaggi su whatsapp. Sempre più espliciti, sempre più incalzanti. Le due si incontrano una volta, due volte, tre volte. Poi, a un certo punto, la professoressa ottiene quel che vuole: sesso con la ragazza.
La cosa viene alla luce perché la ragazza, ovviamente,
è scioccata. Probabilmente i genitori se ne accorgono, la fanno incontrare con una psicologa. Lei le parla e alla fine la ragazza si confessa. Dice di avere avuto dei rapporti sessuali con l'insegnante e racconta la sua angoscia. La psicologa spiega alla ragazza che la professoressa ha commesso un reato e che lei deve denunciare. La ragazza acconsente. La psicologa avverte la polizia. La polizia informa la scuola e la Procura della repubblica. La scuola sospende l'insegnante. La Procura chiede l'arresto (ai domiciliari) della professoressa. Il giudice risponde no: avviso di garanzia ma niente arresto.
Ora, senza troppe polemiche, viene da chiedersi cosa sarebbe successo se a fare sesso con un'allieva di 14 anni fosse stato un professore di sesso maschile. Il giudice come avrebbe risposto al Pm?
Avrebbe rifiutato l'arresto?
Io credo di no.
E credo che questa storia ci insegni che le delicatissime questioni che riguardano il potere sessuale (specie quello esercitato nei confronti dei ragazzi) oggi sono affrontate sulla base dell'ideologia (femminista, woke, di sinistra: chiamatela come volete) e non del buonsenso e della necessità di proteggere i ragazzi. E questa cosa fa una gran rabbia. Perché rende sempre più difficile la lotta per la parità tra i sessi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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