Il massacro senza fine su Norma Cossetto: la violenza dei partigiani titini

Pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, un estratto di Donne, eroine, martiri delle foibe (Passaggio al Bosco) di Valentina Motta

Norma Cossetto a 23 anni
Norma Cossetto a 23 anni

La rassegna delle vittime femminili delle foibe procede con quello che ad oggi è il caso più noto – in quanto maggiormente indagato, studiato e riferito – ossia quello di Norma Cossetto (1920-1943), divenuta negli ultimi anni un vero e proprio simbolo della lotta contro l’invasore, nonché un esempio supremo di eroismo e coraggio. Ma Norma Cossetto è anche qualcosa di più di questo perché è ricordata come “la Martire dell’Istria” avendo testimoniato con la sua vita quello che è successo nella penisola in quegli anni. Come ha spiegato Emanuele Merlino in Foiba rossa, a un certo punto accade che arrivi “un nuovo padrone che [...] con violenza prende tutto quello che vuole senza rispetto o pietà” e “non importa che sia la terra, che siano le imprese, che sia il corpo e la vita di una giovane donna”: il nemico “prende tutto”. Il senso della storia di Norma risiede nella sua scelta di diventare martire “perché non può rinunciare ad essere quel che è” ossia una donna libera, emancipata, orgogliosa di essere italiana e non disposta a rinnegare se stessa per avere salva la vita. Oggetto di studi e trattazione in diversi autorevoli scritti, la figura di Norma è oggi tristemente nota per le particolari vicende che la interessarono, vicende che colpiscono per la brutalità usata dai carnefici e per la crudeltà che fu riservata alla povera universitaria istriana, torturata, violentata e, infine, gettata viva nella foiba di Villa Surani in località Antignana. Figlia di Giuseppe Cossetto, podestà di Visinada e grosso proprietario terriero, ma anche com-missario governativo delle casse rurali dell’Istria, Norma a quel tempo aveva 23 anni ed era una bella e solare ragazza; iscritta alla Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Padova, si stava laureando con una tesi dal titolo Istria Rossa, in riferimento alla presenza di cave di bauxite nella regione.

“Di temperamento volitivo, coraggiosa e creativa, decisa a non lasciarsi intimidire dal clima di violenza e vendetta dei giorni che seguirono il crollo del regime fascista, Norma affrontò con carattere le prime avversità e non volle cambiare i suoi programmi: terminare di scrivere la tesi, laurearsi e nel frattempo [...] curare con la sorella Licia i possedimenti della famiglia”. Questa forza è dimostrata dal fatto che la ragazza continuò a girare in bicicletta, nonostante la situazione notoriamente precaria sul territorio, con un atteggiamento di spavalda sicurezza, misto a patriottico eroismo e a sprezzo del pericolo; tanto è vero che quando la mattina della domenica 26 settembre 1943 arrivò nella piazza del paese, che si trovava di fronte alla casa dei Cossetto, un ragazzo in moto di nome Giorgio a chiamarla, lei accettò l’invito rivoltole a montare sulla sua moto. “Una convocazione urgente al comando, per informazioni. Solo un momento!”. Con queste parole il giovane giustificò la richiesta fatta a Norma di seguirlo. Fidandosi del ragazzo, che peraltro conosceva, Norma decise di seguirlo a Visignano, senza sapere che sarebbe stata consegnata ai partigiani e sottoposta a un interrogatorio, nonché – probabilmente – anche a delle avances. Tuttavia, questo primo episodio si risolse senza conseguenze per la ragazza, che venne liberata e rimandata a casa, forse perché la vera preda, oggetto di interesse da parte dei comunisti di Tito, era il padre di Norma, segretario del Fascio della cittadina e podestà della stessa. Ma la storia non finì così. Il giorno dopo Giorgio si ripresentò a casa di Norma per prelevarla e riportarla a Visignano, da dove fu trasferita nelle carceri di Parenzo insieme ad altre persone, tra cui un cugino del padre, Eugenio Cossetto, e due donne, Ada Riosa e Maria Concetta, sua cognata, su cui avremo modo di tornare.

Il 30 settembre i prigionieri vennero caricati su un camion e trasferiti ad Antignana, prima nell’ex caserma dei carabinieri e poi in un edificio scolastico, trasformato per l’occasione in luogo di reclusione. Qui Norma venne rinchiusa da sola in una stanza, spogliata e legata al tavolo, dove in 17 abusarono di lei a turno: lo raccontò la stessa giovane a una donna che abitava poco distante dalla scuola, la quale – impietosita dai lamenti e dai pianti che sentiva provenire da una finestra – si avvicinò e ascoltò la confessione di Norma. Il terribile fatto si ripeté anche poco prima che la ragazza venisse uccisa, nella notte del 4 ottobre, quando i suoi carcerieri approfittarono di lei, le legarono i polsi e la portarono nella foiba di Villa Surani, dentro la quale fu gettata viva. Prima di essere spostata da Antignana a Parenzo, Norma aveva ricevuto la visita della sorella Licia (1920-2013), giunta con lo scopo di cercare di provvedere alla liberazione della ragazza; ma questa la trovò in condizioni pietose, muta e con gli occhi tenuti bassi probabilmente per via delle violenze subite, della vergogna e dell’umiliazione ricevute.

Disperata e disposta a tutto, l’amorevole Licia tentò pure di corrompere uno dei carcerieri, promettendogli denaro e gioielli, se avessero liberato Norma, ma questi assicurò che tutti i prigionieri sarebbero stati rilasciati in serata e, perciò, Licia tornò a casa, forse neanche troppo sicura che la liberazione sarebbe avvenuta sul serio. In effetti, dopo poco cominciò la marcia verso la foiba di Villa Surani, alla quale i prigionieri arrivarono legati con i polsi stretti da un fil di ferro, come di consueto. Prima di essere lanciata viva nella foiba, Norma subì un’ulteriore tortura: gli aguzzini ferirono i suoi seni con un pugnale e poi le infilarono un pezzo di legno nei genitali, infierendo di nuovo sulla povera ragazza. Era la notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943. Norma pagò al posto del padre per il suo credo politico, probabilmente perché rifiutò di scendere a patti con i suoi carnefici o perché – non trovando Giuseppe – i partigiani presero la figlia per colpire un membro della famiglia. Queste, infatti, le parole nella relazione redatta a seguito del ritrovamento del corpo della ragazza: “detenuta dai partigiani slavi nella ex caserma dei CC. RR. di Antignana viene fissata ad un tavolo con legature alle mani e ai piedi e violentata per tutta la notte da 17 aguzzini. Viene poi gettata in foiba XXX (notte dal 4 al 5 ottobre ’43) con un pezzo di legno ficcato nei genitali.

L’esecuzione della Cossetto è stata fatta perché, ricercato il padre, fascista, e non trovato, venne arrestata lei al suo posto”. Tali parole sono frutto di un resoconto fornito da testimoni, che re- lazionarono sull’accaduto, fornendo così una prima, importante documentazione sui fatti dell’autunno del 1943.

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