La seconda vita di Massimo Bossetti: cosa fa adesso in carcere

Il carpentiere di Mapello, nell'istituto penitenziario di Bollate, svolge la mansione di "artigiano". Il progetto 2121, in collaborazione con le imprese, offre un'opportunità lavorativa ai detenuti

La seconda vita di Massimo Bossetti: cosa fa adesso in carcere
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Il caso mediatico, il lavoro degli investigatori, l'arresto e infine la condanna all'ergastolo. Ma Massimo Bossetti ancora oggi si dichiara innocente per l'assassinio di Yara Gambirasio, portando avanti un'infinita battaglia sui reperti dell'indagine. Intanto il carpentiere di Mapello è riuscito a costruirsi una seconda vita nel carcere di Bollate, in provincia di Milano, dove svolge la mansione di "artigiano". L'uomo è stato immortalato nelle immagini, per la prima volta dall'istituto penitenziario, mandate in onda da TgCom24.

Nel servizio si è parlato della nuova realtà industriale nata all'interno del carcere. Tutto è stato reso possibile grazie al progetto 2121 promosso dal ministero della Giustizia che, in collaborazione con le imprese, prevede il trasferimento di un ramo dell'azienda all'interno di un istituto di pena. L'intento è quello di offrire un'opportunità lavorativa ai detenuti. E tra loro c'è anche Bossetti che, riferisce ilGiorno, produce lamierini di finitura. Partecipa alle attività pure per rendere meno pesante il trascorrere del tempo, e lo fa rendendolo più costruttivo.

Tra l'altro gli stessi detenuti hanno riconvertito l'ambiente in officina meccanica. Nel corso della pandemia da Coronavirus, lo spazio era stato dedicato alla produzione di mascherine di cui - in quel periodo - c'era una grande domanda per rispettare le regole del governo e per cercare di contenere quanto più possibile la diffusione del Covid-19.

A 12 lavoratori reclusi ora sono stati proposti percorsi di formazione e un contratto part-time; l'obiettivo è arrivare a 25 detenuti contrattualizzati che - dopo aver scontato la pena - potrebbero continuare il proprio ruolo anche all'esterno. Insomma, lavoro e professionalità sono i pilastri principali contro la possibilità di recidiva. "Ci è stata data tanta fiducia. Mi hanno preso da zero, non sapendo fare nulla, e mi stanno formando. Pian piano mi portano a imparare un mestiere", ha raccontato un detenuto.

Il progetto 2121 unisce importanti temi che coesistono, dalla riconversione alla sostenibilità passando per la possibilità di riscatto e una prospettiva nuova. Il protocollo d'intesa ruota attorno alla realizzazione di un progetto di formazione professionalizzante e di inserimento lavorativo. Si parte da tre anni iniziali per mettere a punto il modello per poi estendere la durata di ulteriori 5 anni per la gestione della pena extra moenia (fuori dalle mura).

L'accordo sviluppa sinergie per favorire l'inclusione sociale, grazie all'apprendimento professionale e

all'inserimento nel mondo del lavoro, di chi è sottoposto a procedimenti penali. Sono tre le rette: l'accrescimento dell'occupabilità, l'impatto sui vari settori lavorativi e la riduzione del rischio di recidiva.

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