Nel deserto Welsh gioca a dadi con il destino

Guanda manda in libreria Serpenti a sonagli che raccoglie quattro racconti dell'autore di Trainspotting. Humour nero, comicità grottesca e linguaggio politicamente scorretto per mostrarci tutta la nostra fragilità e impotenza di fronte agli scherzetti della sorte

Nel deserto Welsh gioca a dadi con il destino

Volete una prova che il romanzo «pop» può tranquillamente rimpiazzare la vecchia classe degli autori «puri», quelli che pensano solamente al Parnaso e ai salotti nobili? Allora correte in libreria e prendetevi l'ultimo volume di Irvine Welsh. Avrete prova di come attraverso una scrittura veloce, un racconto incalzante, un vernacolo molto moderno si possano veicolare storie che, in ultima analisi, ci spiegano qualcosa del nostro (misero) destino e ci insegnano qualche altra cosa sui temibili dadi della sorte proprio come hanno sempre fatto i classici (da Omero in poi).

Lo scrittore scozzese (ma da anni residente a Dublino) ha infatti dato alle stampe un volume che raccoglie quattro racconti, composti nell'ultimo lustro per riviste e giornali. Il titolo scelto dall'editore italiano («Serprenti a sonagli», Guanda, pp. 276, 17,00 euro) sembra togliere qualsiasi velo allo humour nero della versione inglese: «If you liked school, you will love work...». E questo per restare nel binario della comicità grottesca e splatter che ha caratterizzato la scrittura di Welsh fin dai suoi esordi (anche chi non lo conosce come scrittore, probabilmente avrà visto il celebre film «Trainspotting», tratto dal suo primo romanzo) e che forse il frequentatore disattento delle librerie è in grado di riconoscere con più agio.

Il serpente del titolo è uno dei protagonisti (ovviamente involontario) del primo racconto. L'azione è ambientata nel deserto dell'Arizona. Mentre le altre storie ci raccontano di gente che vive a Chicago, Canarie e ancora Phoenix. Non si tratta necessariamente di emarginati o di personaggi che vivono una vita bohemien. Agenti immobiliari, gestori di pub, documentaristi e librai non fanno che barcamenarsi sul filo poco elastico di un destino che è capace di precipitarti all'improvviso nella tragedia più cupa. Ed è qui che Welsh dimostra di essere uno scrittore di vaglia.

Punta tutto sul suo talento narrativo e sulla sua capacità di esprimere al meglio le paure e le speranze dei suoi protagonisti. Poi lascia che il tutto si mescoli velocemente e prenda una forma. Se fosse un pittore, l'autore di «Trainspotting» apparterrebbe di sicuro alla poetica dell'Action painting. Il risultato del suo lavoro è un godibilissimo vademecum di come la fortuna possa giocare brutti scherzi e quindi, in ultima analisi, dà corpo meglio di tanti suoi colleghi (soprattutto di quelli che si danno un tono di serietà) alla fragilità interiore degli individui e alla loro inevitabile debolezza di movimento.

La quarta di copertina parla di «Furiosa, rocambolesca discesa agli inferi delle meschinità e delle debolezze umane unita a un linguaggio corrosivo

e politicamente scorretto, eppure del tutto sincero e liberatorio». Insomma c'è anche la catarsi del lettore in omaggio al modico prezzo di 17 euro. Non male, visto che giunge dopo 276 pagine di sana e divertente lettura.

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