Il parco dell'arte

Nel giardino delle meraviglie dove si impara a volare

Il parco dell'arte

Le delusioni, la rabbia, la depressione spesso ci convincono di appartenere alla «razza di chi rimane a terra» come scriveva Eugenio Montale. Spesso, però, c'è un rimedio e chi rimane a terra semplicemente non sa che si può volare. Ci sono posti fatti per alzare la testa. Uno si trova a Villa Celle, Santomato, provincia di Pistoia, ed è la Collezione Gori. Sulla strada, un'opera d'arte segnala una deviazione per un lungo viale che sale in collina, in mezzo alle viti e agli alberi. In cima, una grande villa, i luoghi tipici di una fattoria, una cappella consacrata, un giardino all'italiana in corso di riscoperta, un gigantesco parco romantico e soprattutto decine di opere di arte ambientale, studiate per inserirsi nel contesto naturale, con il massimo rispetto, sia nei materiali sia nelle forme.

Partiamo dall'ufficio, il cuore della collezione: c'è ancora il tavolo del fondatore, il pratese Giuliano Gori. Sulla scrivania è appoggiata una lastra di marmo con la scritta «CORAGGIO». Alle spalle, troneggia la figura di un «comandante» di Anselm Kiefer. Ovunque cada l'occhio, lo sguardo si sofferma inevitabilmente su un'opera d'arte alla quale è legata una storia. Guardi un attimo in alto ed ecco Giuliano ritratto da Andy Warhol. «Fumava?». «No, ma Warhol volle metterci a tutti i costi la sigaretta».

Giuliano Gori, dice la leggenda familiare, acquista la sua prima opera d'arte a quattordici anni. Siamo alla fine della Seconda guerra mondiale, il ragazzino vede uno strano signore con i vestiti ricoperti di colore. È un artista, il pratese Diego Fanciullacci. I due iniziano a parlare. Fanciullacci vorrebbe regalare un disegno a Giuliano. Il giovane esige di pagarlo e spiega: «Da grande farò il collezionista». Inizia così una storia che ora prosegue nel lavoro dei figli dopo la morte di Giuliano, lo scorso 25 gennaio: Fabio, Paolo, Patrizia e Stefania. Poi c'è Caterina, la nipote, che ha lavorato a stretto contatto con il fondatore. Il prossimo passo, forse, sarà la metamorfosi in Fondazione.

Giuliano fa una fortuna commerciando tessuti e acquista la fattoria di Celle. La passione per l'arte non solo non è diminuita, anzi: Celle diventa un museo a cielo aperto. Gli artisti possono risiedere all'interno della tenuta e decidere quale spazio occupare. Si colleziona per se stessi, certo, ma anche per condividere opere e storie, conoscere persone e coinvolgerle, ciascuna a suo modo e per quello che sa fare. Le visite sono gratuite.

Il parco è un'avventura spirituale diversa per ogni persona. Si resta irretiti dalla tensione generata dai potenti «menhir» di Richard Serra. Ne rimase irretito l'autore stesso, di solito carattere difficile, che si rotolò nell'erba per la soddisfazione. Ci si perde volentieri nel labirinto di Robert Morris. Difficile indovinarne la forma e l'estensione. Un prato è disseminato dai gusci vuoti di bronzo che guardano alle colline circostanti come se fossero in preghiera. Sono figure umane, a protezione della nostra anima, che si innalza per essere purificata. L'opera è Katarsis di Magdalena Abanowicz. Un gigantesco diapason di metallo è messo a guardia del teatro di Beverly Pepper, dove si tengono regolarmente spettacoli. Bukichi Inoue scava un percorso tra gli ulivi che porta dal buio alla luce, dal freddo al caldo fino a impadronirsi della propria porzione di cielo (My Sky Hole). Nel greto di un torrente, ai piedi di un lago, e all'ombra di una cascata, i resti di un colosso di marmo sono trafitti dalle frecce di Apollo e dai fulmini di Giove. È La morte di Efialte di Anne e Patrick Poirier. Si può anche ascoltare la voce del poeta Giuseppe Conte (vincitore del premio Celle Arte e Natura per la poesia; c'è anche quello per la saggistica) recitare versi che evocano la battaglia tra i giganti e gli dei dell'Olimpo. Bisognerebbe parlare anche di Fausto Melotti, Alberto Burri, Joseph Kosuth, Marino Marini, uno splendido Sebastian Matta, Mario Merz, Alessandro Mendini, Nam June Paik, e ci fermiamo, nell'elenco, alla lettera N. Ma lo spazio è tiranno e dunque continuiamo nella nostra scelta arbitraria. Basterà sapere che quasi chiunque abbia contato qualcosa nell'arte contemporanea, qui è presente con opere realizzate apposta per la fattoria.

Ci sono gli artisti che hanno portato l'arte nella natura. E quelli che hanno portato, con l'arte, la natura negli ambienti chiusi del lavoro e del vivere. Nella Cascina Terrarossa ci sono due stanze di Anselm Kiefer. Nella prima, due enormi quadri intitolati Cette obsucre clarté qui tombe des étoiles: raffigurano il cielo stellato, bello e inquietante, perché gli astri sono identificati con i numeri assegnati dalla Nasa, che ricordano i numeri tatuati dai nazisti sui prigionieri nei lager. Kiefer ha usato i materiali più disparati, come è suo costume. Ci sono anche capelli e denti umani. Nella seconda Shevirat ha kelim, riferimento alla Kabbalah, un'anfora rotta dalla quale si sprigiona la vita. Il vaso è sorretto dai famosi libri in piombo di Kiefer. Si diceva dei denti. Beh, Giuliano si abituò a fare le telefonate più strane per accontentare gli artisti. Robert Morris: «Ci vorrebbero dei teschi». Giuliano: «Robert...». «Guarda, senza teschi non so come fare». Per non parlare di altre questioni più o meno folli. «Giuliano, Matta ha fatto un quadro che non passa dalla porta». «Butta giù una parte del muro».

Nella fattoria e nella limonaia, un colpo di scena si sussegue all'altro. Da una parte ci sono le stanze relativamente piccole con opere, tra gli altri, di Enrico Castellani, Claudio Parmiggiani (un cuore tenuto a mezz'aria da piccole lance di acciaio), Pietro Coletta (uno strabiliante effetto che provoca spaesamento totale, ma non possiamo dire quale, sarebbe uno spoiler artistico). Dall'altra parte, inatteso, uno spazio enorme, a terra un cerchio di pietre di Richard Long, alle pareti spettacolari affreschi di SolLewitt. In fondo, la cappella sistina di Emilio Vedova con magnifici tondi. A Vedova, però, una stanza non bastava. Dunque disegnò se stesso sulla parete. Poi annunciò che aveva deciso di prendersi a picconate e buttò giù una parte di muro per completare l'opera con un doppio scorcio di grande effetto. «Anni dopo disse a Giuliano che il gesto anticipava la caduta del Muro di Berlino». «Ma era vero?». «Ovviamente no, e i due si fecero una bella risata».

Gli artisti, quasi sempre scelti prima che diventassero famosi, e spesso conosciuti attraverso la Biennale di Venezia, arrivavano a villa Celle con un'idea e ripartivano con un'altra. C'era chi aveva giurato di non utilizzare mai il bronzo e dopo fece soprattutto bronzi. Il mitico gallerista Leo Castelli si lamentò con Giuliano: dopo Celle, gli artisti della sua «scuderia» non erano più gli stessi, diventava complicato venderli ai vecchi clienti. Anche in questo caso, alla fine, i due si fecero una bella risata.

La mano dell'uomo e quella di Dio, per una volta, vanno insieme. Una dice la gloria dell'altra, e viceversa. L'opera d'arte ambientale e il parco, con i suoi boschi romantici, convivono rispettosamente.

Ma il giro, uno dei tanti possibili, finisce quando, dopo essere sfilati davanti a un Marino Marini, lo sguardo punta al tetto della fattoria. C'è una panchina là sopra, in mezzo ai coppi. Sotto, c'è la scritta: «Per quelli che volano...». Ci andava Pina, la moglie di Giuliano, a contemplare il parco e il cielo.

Vedete che si può volare?

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