Chi sente nominare Mircea Eliade (1907-1986), l'intellettuale romeno che visse metà della vita in esilio, tra la Francia e gli Stati Uniti, lo fa di solito in relazione alla sua attività di studioso di storia delle religioni. Uomo di cultura immensa, è poco noto al grande pubblico, anche perché è stato spesso confinato in un cono d'ombra per via delle buone e scomode relazioni con Julius Evola o con i leader del movimento fascista rumeno Guardia di Ferro, o a causa del suo sostegno teorico al regime del portoghese Salazar.
Ma accanto alla sua oceanica opera di saggista, filosofo, antropologo, esiste una copiosa produzione narrativa, che ha visto la luce di recente in una raccolta sistematica dal titolo Racconti fantastici, il cui volume I è uscito l'anno scorso, e il II adesso (Castelvecchi, pagg. 784, euro 35, a cura di Horia Corneliu Cicortas e Igor Tavilla, introduzione di Sorin Alexandrescu).
Si tratta di dodici testi, fra i quali almeno un paio di romanzi brevi, che concludono la prima traduzione completa dell'opera narrativa di Eliade, corredata di un corposo testo critico. Non è un caso che il suo esegeta Alexandrescu, nell'ampio saggio introduttivo, si avventuri a lungo nel campo della narratologia, cioè nella spiegazione del funzionamento della tecnica narrativa, il che aiuta molto a svelare certe possibili intenzioni dell'autore. Altrimenti il lettore si troverà spiazzato da fatti, personaggi, circostanze dove non sempre i conti sembrano tornare. Il testo di apertura, il romanzo breve Strada Mântuleasa, composto fra il 1955 e il 1967, è un esempio di letteratura fantastica all'ennesima potenza. Il protagonista, un direttore di scuola in pensione, manifestando il desiderio di rivedere un suo allievo di molti anni prima, innesca la reazione sospettosa della Securitate (la polizia segreta della Romania comunista), approfittandone per addentrarsi in racconti sempre più irreali e oscuri, tanto inverosimili da sfociare nella leggenda. A poco a poco, gli inquirenti diventano inquisiti, in un gioco forse senza soluzione, o meglio: che lascia a chi legge il compito di trovarla.
È questa in fondo l'essenza della letteratura fantastica, la capacità di piegare alle estreme conseguenze il patto fra scrittore e lettore, la «sospensione dell'incredulità».
Altri due testi, I fossi e Ivan, sono gli unici dove Eliade affronti il tema della Seconda guerra mondiale. Ivan parla di un soldato russo ferito, soccorso da romeni, anche se in quel momento sarebbe loro avversario. Ne I fossi il protagonista è invece un tedesco che, una volta stabilita l'alleanza fra rumeni e russi, si troverebbe nella parte del nemico, e invece l'intero villaggio prova simpatia per lui. Dopodiché non si capisce se gli scavi che si stanno eseguendo intorno siano trincee anticarro, fosse comuni o tentativi di disseppellire un tesoro nascosto.
Al di là delle metafore storiche o politiche, Eliade ci conduce all'esplorazione di un universo narrativo in cui i personaggi si richiamano da un testo all'altro, in un'atmosfera carica di mistero e di incanto,
con frequenti richiami al sacro che (ed è un caposaldo del suo pensiero) si ripropone necessariamente nell'esperienza umana. Una lettura tanto impegnativa quanto affascinante, enigmatica, satura di ambiguità e di segreti.
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