Roma - Nel tempo a cavallo fra la Seconda e la Terza Repubblica, quello in cui i partiti si sono abituati a riscrivere velocemente le proprie identità, un nuovo manifesto politico, o un nuovo pantheon di padri spirituali, innescano facilmente la polemica, se non addirittura - come in questo caso - il giallo. È successo ieri, che, intorno all’ultimo documento congressuale di Alleanza nazionale, quello preparato in vista del cosiddetto «congressino», quello chiamato a decidere lo scioglimento del partito nel Popolo della Libertà, si accendesse la fiamma della polemica, non tanto per i nomi nuovi, ma per uno che manca: quello di Giorgio Almirante.
È bastato, infatti, che nel pomeriggio di ieri le agenzie iniziassero a battere l’elenco di nomi che il gruppo di lavoro chiamato a stendere il documento aveva messo insieme, perché si accendessero delle reazioni. La prima, quella di donna Assunta Almirante (ovviamente), simbolicamente più importante, dato il rapporto di suo marito con la storia di An. Ma poi anche citazioni, correzioni di tiro, persino qualche diniego. I fatti, in breve sono questi. Al fianco del documento, c’è una lista di nomi una An’s list in cui saltano subito all’occhio molte new entry. Nomi del tutto fuori dalla politica, come quelli dei due padri della letteratura italiana, Dante Alighieri e Alessandro Manzoni.
Nomi di intellettuali antifascisti come Piero Gobetti e Pietro Calamandrei; ex comandanti partigiani, poi fondatori dell’industria di Stato, come Enrico Mattei. E poi anche divagazioni nel costume, nella musica che portano i nuovi costituenti del Pdl a inserire fra i loro miti e riferimenti Mogol e Lucio Battisti, ma anche un cantante lirico come Luciano Pavarotti. I nomi dei politici, citati nel documento, invece sono quattro, di cui tre viventi: Pinuccio Tatarella, indicato come precursore del nuovo partito unico, Helmut Kohl, l’ex cancelliere tedesco, nume tutelare del popolarismo europeo, e poi i due fondatori, Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi.
Curioso, che al cronista in cerca di un timbro di paternità, gli uomini del gruppo di lavoro diano risposte elusive. «Io nel pantheon non ho proprio messo mano - spiega Angelo Mellone giovane intellettuale di centrodestra, uno dei principali estensori -, per questo rivolgetevi agli altri». E anche Gennaro Sangiuliano, altro storico estensore di documenti del partito, anche lui giovane, (ha iniziato con le tesi per il congresso di Bologna del 2003), pur avendo sopportato il grosso del lavoro di coordinamento, declina responsabilità: «Quei nomi sono usciti fuori da un lavoro di brain storming collettivo, io tutt’al più ho messo i punti e le virgole». E sicuramente Mellone e Sangiuliano sono due che volano alto, si occupano dei grandi problemi, ma chiunque poteva intuire, che la presenza o l’assenza di un nome come quello di Giorgio Almirante, proprio in uno dei più delicati momenti di passaggio identitario, avrebbe acceso le polveri.
Gli altri curatori dei testi congressuali sono Alex Voglino, un quadro alemanniano come Luigi Di Gregorio, e un solido giornalista politico come Salvatore Dama (attualmente in forza a Libero). Ma quei nomi, si scopre scavando più in là, sono stati davvero frutto di una mediazione collettiva, per esempio Mattei è stato voluto da La Russa così come Gobetti è entrato nella selezione in quanto discepolo di un altro nome come Giuseppe Prezzolini.
Il tempo della politica mordi e fuggi, dell’immagine, della velocità televisiva, determina anche questi inconvenienti. I nomi cambiano, le identità si trasformano, gli apparati intellettuali vengono imbracati in nuovi dispositivi identitari, che hanno bisogno della forza delle icone per arrivare altrettanto velocemente a destinazione. Tant’è vero che lo stesso problema si è creato anche a sinistra, dove si discusse per anni dei pellegrinaggi di Walter Veltroni sulla tomba di un cattolico come Dossetti. A guardarle male sono appropriazioni identitarie, ad essere benevoli sono movimenti di assestamento, quasi tellurici.
Il grande paradosso che resta, quando si dileguano le nubi del giallo, è che tutti i nuovi padri, che i partiti dell’era mediatica si scelgono, sono cresciuti fuori dalle case politiche che adesso li accolgono nei loro templi. Forse, al fianco di nuovi lucenti pantheon, bisognerà creare dei musei, in cui raccogliere anche le reliquie neglette di coloro che vengono dismessi, per far posto ai nuovi idoli.
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